Il suono della chitarra elettrica di Charlotte Wilde, seduta sulla destra della scena, segna l’inizio dello spettacolo. La musicista suona dal vivo, accompagnando l’azione dei pupazzi creati e plasmati dall’attore Michael Vogel, altra metà del duo tedesco Wilde&Vogel Figurentheater, che porta in giro Exit. A Hamlet Fantasy dal 1997.
Proposto all’interno di Altre visioni, rassegna di teatro internazionale d’autore promossa dalla storica compagnia Teatro Del Carretto, lo spettacolo arriva a Lucca e si cimenta in una sfida con uno spazio all’italiana. Infatti, per stessa ammissione di Vogel, il lavoro è pensato per luoghi più raccolti e intimi, che possano contenere meglio l’atmosfera onirica e grottesca ricreata dai due artisti.
Ci troviamo davanti a una struttura bassa e quadrata, inclinata, fatta di tavoloni, come una sorta di grande pallet, dentro al quale spesso si infila Vogel, che sparisce per riemergere con le proprie creature. La scenografia, così costruita, ricorda un palcoscenico scassato, con i suoi listoni sconnessi di legno, dai fori dei quali i pupazzi vengono tirati su e animati, ora tramite fili ora tramite l’utilizzo delle mani.
Lo spettacolo di marionette si svolge al di fuori dello spazio classicamente dedicato ai pupazzi. Il burattinaio/marionettista non è nascosto agli occhi del pubblico: si muove da solo nella gestione delle proprie creature, talvolta rivestendo egli stesso il ruolo di Amleto, talvolta evocando i personaggi del dramma di Shakespeare, rappresentato in lingua inglese e tedesca. L’artista riesce a lasciare ai propri fantocci lo spazio per diventare i protagonisti dell’azione: proprio in questo sta la sua maestria, nella capacità di rendere vivi i burattini facendo dimenticare al pubblico, per qualche attimo, che è lui stesso l’artefice dell’intero movimento scenico.
La rilettura di Amleto è dunque affidata al tramite dei pupazzi cenciosi e polverosi, costruiti con materiali diversi (stoffa, lana, legno), assemblati in modo tale da conferire a ciascuno caratteristiche proprie, accentuando i tratti somatici, le espressioni facciali o le dimensioni delle mani e della testa. Il ricorso ai puppets non stravolge la struttura drammatica, tanto più che Wilde&Vogel riescono a ben destreggiarsi nell’alternanza di momenti tragici a momenti in cui, invece, prevale una lettura più comica del dettato originale.
Gli atti di Amleto sono riconoscibili nonostante la libera gestione del materiale drammatico da parte della compagnia. Lo spettatore che non parli né inglese né tedesco (in quest’ultima lingua sono presenti sporadici e brevi inserti) riesce a orientarsi giacché le intenzioni dei personaggi e i loro sentimenti sono espressi senza tentennamenti dalla perizia manuale e tecnica.
Assistendo a un lavoro svolto in uno spazio molto ampio e portato avanti da un solo uomo alle prese con la gestione e l’organizzazione di tanti oggetti, il rischio che si perda qualcosa è sempre dietro l’angolo. Il pericolo, però, viene solo sfiorato: infatti, i momenti in cui si ha la sensazione di assistere a uno stallo nella differenziazione dei passaggi tra una scena e l’altra, si rivelano pause necessarie a Vogel per proseguire nella performance. L’artista mantiene ritmo e presenza, recuperando ogni volta le fila, e non solo delle marionette, mettendosi al servizio del dramma che racconta e delle stesse creature che, con il suo corpo, la sua voce, il suo canto, prendono vita a loro volta.