Una storia di passione conflittuale, dove un lui e una lei si fronteggiano in un dialogo fisico scandito in infiniti assetti spaziali, corrispondenti ad altrettanti quadri emozionali: questa in sintesi l’ultima creazione della Compagnia Francesca Selva, in scena nella seconda serata della rassegna Danza Energia Vitale promossa dal comune di Siena insieme a Fondazione Toscana Spettacolo per queste ultime serate d’aprile. A vestire i panni degli amanti Silvia Bastianelli e Andrea Rampazzo, l’una storica interprete per Francesca Selva, l’altro ormai consolidata new entry delle produzioni più recenti, giunto alla sua terza produzione con la coreografa senese.
Il pezzo mescola espressione teatrale e movimento, contaminando talvolta la danza con elementi rubati alla gestualità quotidiana e caricati di un extra-ordinario valore espressivo; non mancano tuttavia brani coreografici più dinamici, in cui i danzatori danno sfoggio delle proprie capacità tecniche attraverso giochi prossemici costellati di passi a due. I costumi, dai colori brillanti e rigorosamente distinti per genere (camicia per lui, vaporosa gonna per lei), donano una ulteriore morbidezza e fluidità all’incessante movimento degli interpreti.
Coinvolto nelle danze anche l’apparato scenografico: due sedie, sovente spostate da un luogo all’altro dai performer, paiono descriverne le mutevoli relazioni attraverso disposizioni spaziali sempre nuove, mentre un grande lenzuolo bianco, incontestabile emblema nuziale, ondeggia inizialmente sul fondo della scena per poi trasformarsi, di volta in volta, in tovaglia da pic nic, avvolgente coperta per i corpi, ma anche drappo che li avvinghia o vittima indifesa su cui sfogare la rabbia; infine, fragile anello di congiunzione tra due mondi, nella silenziosa immagine di chiusura che mostra gli amanti fronteggiarsi, sfiniti.
Nonostante un’essenzialità visiva indiscutibile, si ha l’impressione che la carne al fuoco sia molta: ci riferiamo, in primis, al poco funzionale divertissement iniziale nel quale gli interpreti manipolano oggetti scenici (una mela e una pagnotta) di ambigua portata semantica, poi relegati a un angolo del palco senza apparente legame di necessità con la vicenda rappresentata. Anche le scelte musicali, pur piacevoli all’orecchio, risultano nel contesto ingombranti: sia per il loro forzoso proseguire per lunghi periodi giustapposti sia per l’indiscutibile forza drammatica dei brani scelti, i quali (siano allegri valzer o tragiche sinfonie d’archi) sembrano voler imporre al pubblico l’interpretazione di quanto avviene in scena piuttosto che costituirne un naturale commento.
Soprattutto, però, è la sostanza a venir meno: se la relazione tra i due protagonisti viene penalizzata da tanto affollamento di segni espressivi poco funzionali al racconto, anche le scelte coreografiche sembrano sottoposte a motivazioni estetiche più che a una vera e propria ricerca espressiva; ciò che ne risulta è una inevitabile perdita di credibilità dell’azione scenica. In uno spettacolo che punta tutto sulla tensione emotiva, si viene così a creare un paradosso: poiché quel che manca risulta, infine, proprio la relazione stessa.