«Hallo hallo! C’est moi!» Lo svizzero Martin Zimmerman si presenta per la prima volta al pubblico come solista, dichiaratamente, nella prima delle rare espressioni verbali dello spettacolo. Dopo quindici anni di simbiosi con Dimitri De Perrot, Hallo è un lavoro interamente firmato dall’atletico e poliedrico performer, dalla progettazione alle coreografie, fino alla direzione.
Uno strano individuo scheletrico, che sembra essere emaciato in una consunta divisa operaia, è in realità animato da un’energia dalla vitalità autodistruttiva. Zimmerman, infatti, in un continuo one man show, fa improvvisamente capolino fra il riso e tante smorfie, come un joker da una scatola a molla, roteando su strutture mobili per lo più di legno e metallo, che si compongono e si ricompongono a suggerire il percorso di un filo drammaturgico presente, ma molto esile. Sembra proprio essere una riconfigurazione dei Tempi moderni secondo l’artista, quelli ascritti dentro le sue geometrie, al contempo semplici quanto intricate. È lo stesso attore ad aggrovigliarsi, e incartarsi, dentro strutture che, come le macchine a ingranaggi della “modernità” chapliniana, lo risucchiano, lo stritolano, lo costringono a cercare una via di fuga, senza drammi, nel segno di una leggerezza tutta clownesca. Complice di questa atmosfera fra il grottesco e il surreale sono le musiche originali di Colin Vallon. La modernità di Zimmerman, di charlottiana memoria, è il male del vivere nel nostro tempo, in una società che fagocita tutto.
Una casa sgangherata che si trasforma in una lussuosa vetrina, un’abitazione dotata di ogni comfort o, meglio, una casa in vetrina, dove il misterioso e solitario personaggio finisce per perdersi in un gioco di specchi, senza riconoscere la propria immagine riflessa. A un certo punto, il nostro eroe “assunto” quasi in cielo, con un sistema ingegneristico progettato da Ingo Groher, in equilibrio su una trave ricorda il celebre scatto fotografico che ritrae gli operai seduti su un asse metallico dominante i cieli di Manhattan.
Affiorano stati d’animo e atmosfere contrastanti che si susseguono senza una logica apparente, come in un percorso psicoanalitico del paziente che si racconta al proprio interlocutore senza filtri, in maniera quasi disordinata. Non a caso, a firmare la drammaturgia di questo spettacolo è proprio una psicanalista, Sabine Geistlich. Ci è dato pure sapere che vi sono riferimenti autobiografici all’interno della storia: Zimmerman, nelle interviste, dichiara di aver lavorato come vetrinista, prima di fare l’artista a tempo pieno. Un fiume in piena: l’artista si racconta fra piroette formidabili, sberleffi e smorfie.
Gettando uno sguardo al passato del performer, Hallo non sembrerebbe rappresentare una rottura rispetto alla poetica precedente, elaborata assieme a De Perrot; tuttavia, si percepisce il sapore di un’opera prima: spettacolo teatrale, performance di danza, semplice divertissement o clowneria da circo? Teatro sì o teatro no? «Chiamiamo il nostro lavoro “di teatro”, perché non abbiamo trovato un nome migliore». È lo stesso Zimmerman, ai tempi del precedente sodalizio (Zurigo, 2011) a offrirci la risposta, seppur candidamente evasiva, insinuando nello spettatore l’idea che se dall’atto performativo che fruirà si aspetta un testo fatto di parola, una drammaturgia che sia narrativa o una morale precisa, non potrà che rimanere deluso.