Un piccolo gioiello teatrale nella sala quasi deserta del Teatro San Girolamo di Lucca: I conigli non hanno le ali. Ci sono dei bicchieri sul palco, in cui dall’alto della graticcia gocciola, perenne, dell’acqua. Per intenderci: quei pochi bicchieri, unico elemento scenografico, erano più numerosi degli spettatori. Chi non è venuto si è perso qualcosa. Ecco, se fosse possibile, adesso vorremmo mettere una barriera che impedisse a chi non c’era di leggere questa recensione: cosa avevate di meglio da fare? Se non avete una buona risposta, non meritate di leggere quanto segue. Purtroppo siamo buoni: approfittatene finché siete in tempo.
In scena ci sono due persone, che potevano restare a casa a vedere Zelig o a giocare a ForzaQuattro, invece hanno deciso di salire su un palco e riempire quel vuoto (d’ora innanzi, per brevità, li chiameremo attori). Sono i genitori di Luca, il bambino che ha appena lanciato il suo coniglietto dalla finestra, munito di mutande, di Superman nell’illusione che potesse volare. Non si tratta, però, solo di romantica ingenuità, o estremo condizionamento dei cartoni animati: Luca è un bambino problematico. Cosa abbia non lo capiamo, perché se, da una parte, il padre (Tommaso Cardarelli) lo definisce – forse troppo frettolosamente – «psicotico», dall’altra, la madre (Francesca Ciocchetti) si trincera dietro le proprie illusioni, convincendosi che il figlio sia un vero maschio competitivo, intraprendente e destinato a essere un leader.
I due personaggi sono in continua contrapposizione: cromatica, l’una vestita di bianco, l’altro di nero; recitativa, perché quando uno utilizza il tono della commedia, l’altra è ferma alla tragedia (e viceversa); tematica, mentre l’uno cerca una soluzione per il figlio, l’altra rimpiange la vita sessuale che la coppia aveva in gioventù; tempistica, nel parlare degli stessi argomenti, ma mai insieme, come se fossero fuori sincrono. La tecnica recitativa dei due attori è impeccabile, e la sintonia ben costruita: si alternano perfettamente, inserendosi l’uno nel discorso dell’altra, come una partitura dal ritmo serrato. In questo scambio si inseriscono, sempre puntuali, le musiche originali di Valerio Camporini Faggioni, mai scontate o invasive.
Tutto questo ottimo lavoro è costruito sul testo di Piero Civati, che crea un’architettura complessa, ma ottimamente gestita. Il piano temporale del presente, cioè la vicenda che si svolge davanti ai nostri occhi, va avanti senza precisi riferimenti: tra una scena e l’altra potrebbero passare ore, ma anche giorni, o anni. Nella narrazione si inseriscono anche diversi flashback sulla vita della coppia (il primo appuntamento, il matrimonio, la scelta della casa) intrecciati con tale maestria da ricordare le migliori serie tv. Al di là della forma, anche il contenuto è ben trattato: Civati ci fa sfiorare, senza marciarci troppo, la difficoltà di questi ipotetici genitori. Più che sviluppare il problema, rischiando di trascinare lo spettatore in un inutile processo empatico, lo circonda, ne delinea i confini per farcene percepire tutta l’immensità.
Ora vedete voi se vi è convenuto fare quello che avete fatto, invece di venire a scoprire perché, alla fine, i conigli volano (oops: spoiler!).