Il titolo è lungo e non facile da ricordare: Recita dell’attore Vecchiatto nel teatro di Rio Saliceto. La struttura è invece semplicissima: una lettura di un testo teatrale per due voci scritto da Gianni Celati nel 1995 (già messo in scena nel 1998 da Mario Scaccia e Marisa Belli). L’argomento del testo è l’ultima recita dell’attore Attilio Vecchiatto e della moglie Carlotta in uno sperduto teatrino, e le due voci chiamate a interpretare i due soli personaggi sono quelle di Claudio Morganti ed Elena Bucci.
Benché Celati abbia alimentato l’incertezza, si può credere che Vecchiatto (forse una crasi delle parole vecchio e attore) sia solo un eteronimo, ovvero un artista fittizio frutto della fantasia di un altro autore. Purtuttavia la sua biografia, che ricostruiamo attraverso il dialogo recitato, è verosimile: è quella di un interprete classico e shakespeariano, erede della più nobile tradizione grandattoriale e acclamatissimo nei suoi lunghi soggiorni nelle Americhe e in Europa. Quando fa ritorno in Italia nel 1988, nessuno conosce i suoi spettacoli di successo, né i suoi numerosi testi drammatici e poetici; e si ritrova ad accettare un modesto ingaggio in un piccolo comune in provincia di Reggio Emilia, Rio Saliceto. Storia infelice, dunque, che può richiamarne altre simili: numerosi esempi – letterari, drammaturgici, cinematografici – di attori sul viale del tramonto, come il Minetti di Thomas Bernhard recentemente interpretato da Danio Manfredini.
La situazione, che si intuisce fin dalle prime battute, ha comunque qualcosa di agrodolce, e perfino di ridicolo: dobbiamo infatti immaginare che i due stiano per entrare in scena, ed esitino aspettando che la sala si riempia; ma arriverà solo un’anziana signora già prossima ad addormentarsi e pochi altri spettatori che sopraggiungono alla spicciolata e presto si dileguano («Nessuno ci ascolta, siamo fuori dalle mode, Carlotta», commenta lui e, di contro: «Andare via non si può, siamo scritturati», gli risponde lei).
Le voci di Morganti e della Bucci sono diversissime e perfettamente armonizzate, in un arrangiamento che esalta l’arrochita robustezza maschile e la struggente leggerezza femminile. Lui è stizzoso e impertinente, scaverna invettive che hanno il ritmo e la violenza meccanica di quelle dei protagonisti di Bernhard, per l’appunto («la coscienza ci paralizza, solo nell’incoscienza si riesce ad andare avanti»); lei è accomodante e premurosa senza essere remissiva, mentre invita il marito a dare comunque inizio allo spettacolo. Ma soprattutto sono due voci perfettamente calibrate sui personaggi, ormai giunti all’autunno della carriera e quasi raccolti in una soffitta dell’esistenza, tutta presa dalle tenebre: Lezione di tenebra è il titolo dell’operetta dai toni leopardiani che Vecchiatto tenta di recitare a più riprese; e buia è anche la scena che può osservare il pubblico del Teatro Francesco di Bartolo di Buti, forse meno ingrato e ignorante di quello di Rio Saliceto contro cui si scaglia il vecchio attore, ma non di molto più numeroso.
Spettacolo breve (un’ora circa) e sorprendente, che sarebbe bello poter vedere, anzi ascoltare, più volte.