Si apre il sipario e il Teatro Verdi di Pisa si trasforma in un secondo spazio scenico: un teatro di posa da cinema muto, con gli operatori di macchina in camice e il fondale srotolato per simulare una corsa in carrozza. Ambientare un’opera in parallelo alle riprese di un film non è novità assoluta (lo abbiamo visto ben realizzato anche a Montecarlo), ma se il compositore è Nino Rota e il titolo è Il cappello di paglia di Firenze, è difficile resistere alla tentazione. Lorenzo Maria Mucci, regista, afferma che la scelta può sembrare scontata, ma il ritmo e lo stile dell’opera si adattano benissimo al cinema, come dimostra il film muto che René Clair trasse nel 1927 dal dramma di Labiche (cui s’ispirò lo stesso Rota). Durante l’ouverture si schiude questo sistema di scatole cinesi: tutto si svolge sul set di Clair che sta girando l’avventura di Fadinard e noi lì, a “spiare”. Ne esce uno spettacolo vivace e dinamico, gestito con la grazia cui Mucci ci ha abituati in questi anni di regie pisane.
La gestione delle luci è curatissima, ed è proprio l’illuminazione di Michele Della Mea che crea i vari ambienti nella scenografia di Emanuele Sinisi: gli elementi sono effimeri, si muovono in fretta tra una scena e l’altra, sempre pronti per il ciak successivo. Una grande struttura nera replica quella della scatola scenica, che potrebbe sembrare il nudo palco del Verdi. Invece è finto, come le americane a vista e le cineprese.
L’avventura si svolge a Parigi, nel giorno del matrimonio di Fadinard e Elena, ma – dopo che il cavallo dello sposo ha mangiato il cappello di una donna a spasso con l’amante – una serie di disavventure mettono a rischio lo sposalizio. Minacciato dal soldato che accompagnava la fedifraga, Fadinard gira tutta Parigi alla ricerca di un uguale copricapo da restituire alla donna. Gli equivoci e le coincidenze rendono la trama degna di un filmetto ammiccante, con l’invadente famiglia della sposa che segue il fidanzato, finché tutti non si ritrovano in casa del marito cornuto. Non fatichiamo a immaginare (per restare nell’ambito della settima arte) De Sica e Boldi nei due personaggi principali. Ma questo lavoro ci conferma lo statuto dell’opera che, ancora nel ’55, consisteva nell’emancipazione dalle vie di mezzo. D’altronde, il topos della festa guastata, comune a tante commedie, è asse portante del melodramma, sin da quando la notizia della morte di Euridice guasta la gioia di Orfeo, nel Monteverdi che inaugura il genere (correva l’anno 1607).
Il coro è onnipresente: l’ensemble guidato da Andrea Chinaglia fa da cornice al gruppo di giovani cantanti di questo allestimento di LTL OperaStudio, il cantiere con cui Pisa, Lucca e Livorno offrono l’occasione di mettersi alla prova a giovani cantanti e musicisti. Nel cast spicca Veio Torcigliani (non più esordiente: non ce ne vorrà se lo notiamo) con la solita voce massiccia, avvolgente, e l’eleganza da grand’attore in cui riveste un ruolo tendenzialmente macchiettistico: è il padre della sposa, con le scarpe strette e sempre sul punto di mandare tutto a monte. Lo contiene il protagonista Fadinard, interpretato con grazia ed eleganza dal tenore Claudio Zazzaro. Francesco Pasqualetti guida con cura l’Orchestra Giovanile Italiana nell’esecuzione di quello che fu il primo titolo prodotto da LTL nel 2001.
L’allestimento è pervaso di brillante eleganza: tutti gli elementi sono coerenti alla vivacità della musica di Rota. Il carattere giovane dell’operazione è tangibile, non solo nelle intenzioni, ma anche sul palcoscenico: non è un fatto positivo a prescindere, ma quando la freschezza e la professionalità si uniscono nel segno di un’opera moderna e frizzante, il successo è assicurato. Il pubblico pisano conferma.