Una tranquilla e assolata domenica pomeriggio e, all’esterno del Teatro Verdi di Casciana Terme, il pubblico già si accalca per godere del dramma giocoso settecentesco Il matrimonio segreto di Domenico Cimarosa, su libretto di Giovanni Bertati. La sala gremita, ma non troppo, resta illuminata durante l’Ouverture per consentire alle servette di muoversi tra il pubblico con stracci e spolverini. Una piccola violazione dello spazio scenico che, usando il più banale degli espedienti, suscita la compiaciuta sorpresa della platea.
Il sipario si apre su una dimora nobiliare d’epoca (peccato che gli arredi ricordino un teatrino amatoriale), ma la parte centrale, subito dietro il proscenio, é occupata da una grande “giostra scenografica” che, ruotando (fin troppo velocemente), mostrerà tre diversi ambienti domestici.
La ricca e movimentata vicenda vede il giovane di negozio, Paolino (Giampaolo Franconi), e la figlia del nobile padrone, Carolina (Patrizia Cigna), innamorati e sposati in segreto. Diversa la classe sociale, ma anche la vocalità, quella di lui troppo spesso esile e coperta dall’orchestra, quella di lei chiara e brillante. Di ben altro spessore il timbro impeccabile e superbo del Signor Geronimo (Paolo Pecchioli), padre della ragazza, che diventerà il fulcro dello spettacolo. Egli, pur avendo un accordo per dare in sposa la prima figlia Elisetta (Paola Cigna) al conte Robinson (Michele Pierleoni), accetterà uno sconto di dote, cedendo invece la più giovane Carolina, la quale in segreto si è già maritata a Paolino. Lo scompiglio sarà inevitabile, proprio come il lieto fine. Solo la zia Fidalma (Monica Minarelli), che sperava di avere Paolino per sé, resterà a bocca asciutta. Le due sorelle del vissero felici e contenti (gemelle nella vita) riescono ad arricchire la performance con preziose sfumature interpretative.
L’orchestra da camera di Asolo, diretta da Roberto Zarpellon, ha mostrato tutta la propria abilità nell’assecondare i capricci ritmici del Conte e della attempata zia, riuscendo a preservare l’equilibrio sublime della cesellata musica di Cimarosa. Il genere comico è accentuato dall’uso di enormi parrucche quasi carnevalesche che conferiscono un tono caricaturale all’insieme. Sorprende l’ingegnoso espediente di matrice cinematografica, realizzato con la regia e le scene di Emiliana Paoli, moltiplicando i livelli di fruizione della storia: la “giostra” degli ambienti posizionata sul palcoscenico gira e mostra il fermo immagine di ciò che accade ai personaggi nei diversi spazi della casa, mentre quelli in azione si trovano sul proscenio. Un piacevole e originale effetto di contemporaneità che gli angusti spazi teatrali faticano a concedere.
La storia poco si presta a caratterizzazioni psicologiche dei personaggi, che rimangono maschere alle prese con un’azione fin troppo rapida nel suo incedere, ma il tutto è esemplificativo di un’epoca e di un teatro che pretende un felice, anche se poco credibile, epilogo. L’opera resta un tassello fondamentale della musica italiana del Settecento, fresca e godibile nella sua limpida semplicità, e richiama palesemente la filosofia dell’apparire più che dell’essere. E non è questa, forse, una riflessione sulla modernità?