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Il monodico Edipo di Pippo Delbono (e Petra Magoni)

Sguardazzo/recensione di "Il sangue"

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Cosa: Il sangue
Chi: Pippo Delbono, Petra Magoni
Dove: Prato, Teatro Metastasio
Quando: 17/11/2015
Per quanto: 80 minuti

Canto e controcanto. Edipo/Pippo Delbono in dialettica con Antigone/Petra Magoni, dall’inconfondibile vocalità (suo personale marchio di fabbrica), quasi un superbo volo d’aquila a planare verso il basso incidendo sulle prede, con sicurezza chirurgica, passionalità e lirismo, le note di un repertorio vastissimo. Sangue non è un puro reading teatrale né un’esibizione musicale. Presentato dallo stesso Delbono con la formula anfibia di spettacolo-concerto, sembra più un primo studio, una pièce che è, ancora, una ferita aperta e bruciante.

L’andamento è binario: dalle letture dei versi edipici dell’attore si passa alle canzoni della cantante, un continuo botta e risposta in cui, nel finale, s’inerisce Bobò, l’ormai celebre performer sordomuto rimasto, sino a quel momento, ascoltatore e osservatore ai margini del palcoscenico. È la musicista Ilaria Fantin, circondata da un liuto, un opharion (strumento inglese del XVI secolo), un oud e da un’inaspettata chitarra elettrica, a punteggiare musicalmente il lavoro.
Dall’Hallelujah di Leonard Cohen alle versificazioni madrigalistiche, passando per l’Amara terra mia portata al successo da Modugno a Nothing Compares to you di Sinead O’Connor, sino al finale con Disamistade di De André, il repertorio di questa Antigone contemporanea. Canta l’oppresso, l’emarginato, l’esule, la guerra, l’odio, l’amore, la vita e la morte. Il mito dell’Edipo sofocleo è punto di partenza per una riflessione sui grandi temi esistenziali. «Solo colui che ha attraversato indenne il confine della vita, solo quell’uomo puoi chiamare felice», dice Sofocle del suo Edipo assassino, orfano, esule, che deve fare i conti con la condizione dello sradicamento, in una società, come quella contemporanea, in cui ormai tutti sono apolidi nella loro stessa patria.

Sangue nasce sulle ceneri di un altro progetto, irrealizzato, che avrebbe dovuto chiamarsi Birds. Delbono vi allude nelle molte parentesi monologiche, entrando e uscendo dal filo drammaturgico tracciato. Non Edipo, ma Gli uccelli di Aristofane sarebbe stata la fonte che avrebbe dovuto portare la firma di Eimuntas Nekrosius; il forfait dell’Antigone Laurie Anderson, dopo la morte del marito Lou Reed, ha stravolto i piani.

sangue-bandaSi resta allora con Sangue, lavoro troppo confuso: lo spettatore vede l’enorme spazio vuoto del Metastasio, al centro, Delbono, alla destra, Magoni, inchiodati alle rispettive sedute per una stasi protratta, sottolineatura della condizione di un Edipo e un’Antigone ingabbiati nelle proprie sofferenze. Tale crocifissione laica rende lo spettacolo inerte, senza avere il giusto contraltare in un piano sonoro costruito per opposizione alla povertà di movimento, sia interiore sia esteriore. Delbono legge, sguardo incollato sul leggio, una recitazione intima più che intimista. Voce e musiche viaggiano superbamente, grazie all’interessante attrito tra la voce scura dell’attore che contrasta coi folli voli argentini della Magoni: trascorrono nel tempo, grazie all’attenta scelta di repertorio attraverso secoli di musica, ma si tratta di un’erranza straniante, un perdersi fra citazioni, riferimenti interni che non offrono una visione, ma disorientano lo spettatore.

Chi è questo Edipo dei giorni nostri del quale si narra e si canta? Che forza hanno le parole sofoclee decontestualizzate dal loro habitat naturale? Troppo criptiche le tappe di un percorso incompiuto, le stazioni di una crocifissione impossibili da cogliere: regia e drammaturgia non sanno consegnare allo spettatore la chiave di lettura di un percorso ancora fermo a metà strada, offuscato, probabilmente, dai cambiamenti forzati e dalle trasformazioni repentine cui è stato sottoposto.

sangue delbono ph Luigi de Frenza

VERDETTAZZO

Perché: No
Se fosse... un animale sarebbe... una chimera

Locandina dello spettacolo



Titolo: Il sangue

ideazione e regia PIPPO DELBONO con Pippo Delbono, Petra Magoni e con Ilaria Fantìn liuto, opharion, oud, chitarra elettrica produzione Compagnia Pippo Delbono in coproduzione con il Festival del Teatro Olimpico di Vicenza   Più che uno spettacolo teatrale, Delbono ha progettato un concerto in forma drammatica e, con una straordinaria Petra Magoni, ha intrapreso il suo viaggio musicale nella classicità lavorando sul mito di Edipo. È nato così Il sangue, che fin dal titolo cita i temi e i titoli che da qualche tempo costituiscono il territorio culturale e umano di Delbono. Uno straordinario artista che con una sensibilità tutta personale riesce a leggere la situazione sociale e politica attorno a lui anche attraverso la propria biografia. La condizione tutta particolare della orfanità di Edipo, spogliata dell'aura mitologica della maledizione divina e della Chimera, dell'assassinio ignaro del padre, e della morte che si dà la madre per aver concepito, con lui figlio, altri figli destinati alla maledizione e all'infelicità, diviene la sofferente condizione di sradicamento di una creatura di oggi. Costretto a misurarsi con la morte e peggio ancora con la vita, ovvero il grumo di rapporti malati e dei non/rapporti di sofferenza che lo allontanano da speranze e illusioni, ma anzi tendono a rinchiuderlo in una invalicabile gabbia di sofferenza. «Solo colui che ha attraversato indenne il confine della vita, solo quell'uomo puoi chiamare felice» dice Sofocle del suo Edipo, e in qualche modo è questa la traccia del percorso che Pippo Delbono e Petra Magoni, con le musiche preziose che Ilaria Fantin trae da strumenti antichi come il liuto e l'opharion, tracciano sul palcoscenico. Le parole di Pippo trovano eco e musicalità nei ruggiti e nelle cascate vocali di Petra, per poi ricomporsi nelle volute fascinose di melodie rinascimentali, da Peri e Caccini al sommo Monteverdi. Da una parte un'immensa Petra Magoni che veste e spezza le note dentro vertigini, dall'altra Pippo Delbono che, quasi un cristo laico al centro del palco, pianta i chiodi della tragedia e li semina sulla storia personale che poi è la storia di tutti. Un racconto di compassione che parte da lontano e arriva fino al presente fatto di madri che ci hanno lasciato, di esuli, di lontananze, di addii e di vite vissute da un'altra parte, anche dalla parte selvaggia, come cantava Lou Reed. Ma il musicista americano, spesso evocato dallo stesso Delbono, non è l'unico grande ad entrare in questo «concerto sul cielo e la terra». Il pubblico vede prendersi per mano Sofocle e Leonard Cohen, Sinéad O'Connor e Fabrizio De André. L'anima salva, nel finale, è Bobò, attore-feticcio di Delbono, sordo, muto e per quarant'anni rinchiuso in un manicomio.

Francesco Tomei
Autoironico gemello diverso (da quello serioso accademico), nasce sui monti di Barga, è laureato (due volte) nonché organizzatore teatrale. Approda a LSDA nel bel mezzo d’una metamorfosi da Pulcinella in dottore di ricerca. Si divide fra critica, canzoni (da scrivere) e archivio (da contemplare).