Il primo duello di Alessio Boni

Sguardazzo/recensione di "I duellanti"

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Cosa: I duellanti
Chi: Alessio Boni, Marcello Prayer, Francesco Niccolini
Dove: Firenze, Teatro della Pergola
Quando: 17/02/2016
Per quanto: 120 minuti

I duellanti, liberamente tratto dall’omonimo romanzo di Joseph Conrad, fu nel 1977 opera prima di Ridley Scott sul grande schermo, protagonisti Keith Carradine e Harvey Keitel. Recentemente, segna il debutto registico di Alessio Boni che, con Roberto Aldorasi, ne dirige l’adattamento originale curato da Francesco Niccolini. Il genio di Conrad, con questo romanzo d’ambientazione francese e napoleonica, coniuga vicende autobiografiche a uno dei suoi temi più cari all’autore: l’indagine psicologica, pre-psicanalitica, sull’uomo.

Lo spettatore si ritrova avvolto nella penombra, un’oscurità dal forte valore metaforico, elemento ricorrente nell’immaginario conradiano. Svettano in scena due torrioni praticabili e una pedana, che potrebbe essere il covo di uno dei due protagonisti. Al centro della questione, il tema del doppio, in un eterno duello fra due poli opposti, bianco e nero, che coinvolge attori di formazione analoga (il “metodo Costa”): Boni si cala nei panni del damerino Armand d’Hubert, un aristocratico annoiato dall’ipocrisia circostante, calcolatore, cinico, avveduto; Marcello Prayer in quelli di Gabriel Feraud, intraprendente di umili origini, spaccone sanguigno, ma con uno spiccato senso della dignità. «Mi hai costretto per un punto d’onore a tenere la mia vita a disposizione per 15 anni», così il primo al rivale, nel compimento di un eterno confronto che attraversa l’intera epoca napoleonica, agitata da sogni di conquista imperiali, sino agli anni disillusi della Restaurazione. I due interpreti rivelano l’origine costiana in una lunga, vigorosa scena, cerniera drammaturgica fra l’ardore della giovinezza e il disincanto della maturità: sostenuti da un serrato commento musicale, raccontano l’inferno della campagna di Russia, sfruttando al massimo, con notevole intensità, il potere del coro, l’unisono delle voci che, ricorrendosi, sovrapponendosi e fondendosi l’una sull’altra, traggono forza. Due voci che si fanno una sola, di pari passo ai personaggi progressivamente confusi, appaiati come rovesci di un’unica medaglia, come se Feraud fosse il Minotauro che scorre nelle viscere di un d’Hubert annoiato, in continua ricerca d’emozioni autentiche, con un disperato bisogno d’istintività e passionalità. In realtà, il duello di Conrad messo in scena da Alessio Boni si configura come l’eterna lotta di un uomo contro sé stesso.

I_Duellanti_Prayer_Boni501Allestimento apprezzabile, con qualche limite per chi ricerca una teatralità pura e non una mescolanza di codici espressivi essenzialmente strumentale a centrare il risultato, a salvare il tutto. S’avverte sensibilmente l’origine letteraria della fonte: a tratti, la drammaturgia diventa narrativa, didascalica oppure denota un lavoro di asciugatura dal quale emergono dialoghi prossimi più al linguaggio cinematografico che a quello teatrale, legati all’effetto, al ritmo, più che all’introspezione dei caratteri, alla creazione di un equilibrio e un peso, un ritmo interno, un baricentro, nel susseguirsi degli episodi. La voce degli attori, microfonata, acuisce l’impressione di codici espressivi più filmici che teatrali, così come l’impiego delle luci di Giuseppe Filipponio, con qualche eccesso di stroboscopia da kolossal nelle scene di battaglia. Pregevole il commento musicale, che non aggiunge niente all’azione, ma l’accompagna; la gradevolezza dalla colonna sonora è da ascrivere al violoncello di Federica Vecchio, che incarna l’affascinante Adèle, Madame de Lione e la fidanzata di d’Hubert. Lodevole pure la prova dell’infaticabile Francesco Meoni, chiamato a rivestire ben cinque ruoli: il colonnello Marchand, lo zio di Adèle, il potente Fouchè, un soldato e un giadiniere, come anche la ricerca della verosomiglianza nei combattimenti, con i duellanti Boni e Prayer resi credibili dalle curate coreografie di Renzo Musumeci Greco.

VERDETTAZZO

Perché: Sì, oppure no
Se fosse... un simbolo sarebbe... lo Yin e lo Yang

Locandina dello spettacolo



Titolo: I duellanti

di Joseph Conrad
traduzione e adattamento Francesco Niccolini
regia Alessio Boni, Roberto Aldorasi
drammaturgia Alessio Boni, Roberto Aldorasi, Marcello Prayer, Francesco Niccolini
con Alessio Boni, Marcello Prayer e con Francesco Meoni
violoncello Federica Vecchio
maestro d’armi Renzo Musumeci Greco
musiche Luca D’Alberto
scene Massimo Troncanetti
costumi Francesco Esposito
luci Giuseppe Filipponio
produzione Goldenart

di Joseph Conrad
traduzione e adattamento Francesco Niccolini
regia Alessio Boni, Roberto Aldorasi
drammaturgia Alessio Boni, Roberto Aldorasi, Marcello Prayer, Francesco Niccolini
con Alessio Boni, Marcello Prayer e con Francesco Meoni
violoncello Federica Vecchio
maestro d’armi Renzo Musumeci Greco
musiche Luca D’Alberto
scene Massimo Troncanetti
costumi Francesco Esposito
luci Giuseppe Filipponio
produzione Goldenart
Un romanzo esemplare, scritto da uno dei più grandi autori europei di primo Novecento: Józef Teodor Konrad Korzeniowski, meglio noto come Joseph Conrad, un polacco che, in inglese, racconta una sorprendente storia francese. Di più: napoleonica. L’affresco di un mondo, quello della cavalleria e degli eserciti ottocenteschi, che da lì a breve sarebbe stato spazzato via dalle nuovi armi e dalle nuove logiche militari del Novecento: l’introduzione di armi da fuoco a ripetizione e il super potere degli industriali nella gestione dei profitti di guerra avrebbero buttato all’aria antiche regole, l’etica militare e reso smisurati gli eccidi sui campi di battaglia.
L’idea geniale su cui Conrad costruisce The Duel è che i due avversari non si fronteggiano sugli opposti versanti del campo di battaglia: sono ufficiali dello stesso esercito, la Grande Armée di Napoleone Bonaparte. Ussari, per l’esattezza.
Per motivi a tutti ignoti – e in realtà banalissimi, al punto da rasentare il ridicolo – inanellano sfide a duello che li accompagnano lungo le rispettive carriere, senza che nessuno sappia il perché di questo odio così profondo. E, proprio per il mistero che riescono a conservare, i due diventano famosissimi in tutto l’esercito napoleonico: non tanto e non solo per i meriti sui campi di battaglia di tutta Europa, quanto per la loro eroica fedeltà alla loro sfida reciproca, che li accompagnerà per vent’anni, fino al duello decisivo.
Un’opera su di un mondo in rapida estinzione, e al tempo stesso un capolavoro dell’assurdo, su come i fili della vita e del destino sfuggano di mano e sopravanzino ogni buon senso e prevedibilità.
Gabriel Florian Feraud, guascone iroso e scontento, e Armand D’Hubert, posato e affascinante uomo del nord, non sono semplicemente due giovani promettenti, e sconcertanti ufficiali del più grande esercito dell’Ottocento, ma a modo loro incarnano incubi e ossessioni che – da Melville a Faulkner, da Kafka fino ad Albert Camus – accompagnano la cultura occidentale fino allo sfacelo della seconda guerra mondiale.

Francesco Tomei
Autoironico gemello diverso (da quello serioso accademico), nasce sui monti di Barga, è laureato (due volte) nonché organizzatore teatrale. Approda a LSDA nel bel mezzo d’una metamorfosi da Pulcinella in dottore di ricerca. Si divide fra critica, canzoni (da scrivere) e archivio (da contemplare).