«Il solito, grazie!» Generalmente è una frase che si rivolge al barista, ultimamente accade più di frequente immaginarla all’indirizzo di registi teatrali.
Stavolta il malcapitato cocktail è stato realizzato da Marcelo Cordeiro che con il suo Macelleria ha inaugurato la nona edizione dello Zoom Festival presso il Teatro Studio di Scandicci. Lo spettacolo viene presentato come il lavoro finale di un laboratorio durato un mese sotto la direzione di quello che, da curriculum, si presenta essere un drammaturgo, regista e danzatore, insomma un teatrante di prima categoria. Cordeiro si ispira alla drammaturgia del brasiliano Nelson Rodrigues, volendo offrire al pubblico fiorentino la menzogna e l’ipocrisia di una famiglia che potrebbe essere, per esempio, quella del macellaio.
Assaggiando la bevanda offertaci non ci pare di trovare sapori nuovi bensì, semplicemente, il solito.
Non si ha una trama ben esplicita, si danno quelle che vengono, in linea di massima, chiamate “emozioni sceniche”: un triangolo amoroso ambientato in una macelleria, alludendo a varie problematiche, dalla violenza domestica alla gelosia sfrenata. “Oscillazioni” è il tema scelto dal direttore artistico Giancarlo Cauteruccio per questa edizione dello Zoom e che, in questo spettacolo, probabilmente si palesa in un’indecisione formale su ciò che si sta inscenando. O è, più semplicemente, la situazione ideale per questo gruppo appena formatosi, il cui nome è, non a caso, In Bilico.
La scena è delimitata da un cubo al cui interno risiede un tavolo bianco: il macellaio vi adagia sia pezzi di carne animale affettata sia la moglie, quando, alla fine, subirà anch’essa il macello. L’unica differenza è che quest’ultima, anziché dalla lama di un coltello, sarà dilaniata da una motosega. La parte superiore del cubo sorregge un pannello utilizzato per proiezioni didascaliche: le violenze fisiche sulla donna si tramutano in gocce di vernice rossa che, man mano, occupano l’intera superficie del riquadro.
Il tutto è amalgamato dalla figura di una specie di maîtresse che, al lato della scena in vesti succinte e vertiginosi tacchi rossi, commenta e descrive la scena per mezzo di un microfono. Sei attori girano come belve intorno al tavolo senza essere domati: sospirano battute, urlano sguaiatamente; è forse anche questa un’oscillazione? Il dubbio è in bilico e propende per una regia che punta al “forte”, al sensazionale, lambendo suggestioni antropofagiche, giungendo, però, a tutt’altro esito.
Colonna sonora dell’intera performance, perla rara nell’economia spettacolare, è la musica a cura dell’orchestrina jazz (contrabbasso, sax, chitarra elettrica e violino), le cui partiture sono di Francesca della Monica: un lamp di vita nel grigiore.
Come un ubriaco dopo la sbornia, cosa abbiamo visto? O meglio, cosa abbiamo bevuto? Il solito.