Era forse il titolo più atteso nella stagione lirica pisana: Aida ha segnato l’ennesimo sold out per il Teatro Verdi, comunque avvezzo a successi di botteghino che precedono, anche di molte settimane, gli spettacoli in scena. La regia – pur ripresa da Stefano Trespidi – è quella firmata da Franco Zeffirelli nel 2001: concepita per il teatro di Busseto, circuita da anni in Italia e all’estero, anche grazie alle sue dimensioni (relativamente) ridotte. Il tratto distintivo di questo allestimento, infatti, è proprio un’inedita vocazione anti-trionfalistica, che esalta le vicende dei protagonisti più che l’aspetto popolare e pachidermico dell’opera di Giuseppe Verdi. Zeffirelli cerca di restituire il sentimento espresso dal delicatissimo preludio di Aida, ben lontano da quella ricchezza che segna la famosa Marcia trionfale, parentesi quasi trascurabile nell’economia dello sviluppo drammaturgico.
Le scenografie, firmate dallo stesso regista fiorentino, sono monumentali e dettagliatissime: alte mura e colonne incise a geroglifici colorati, grandi statue degli déi e preziosi fondali dipinti che acuiscono il senso di profondità. Praticamente niente, se paragonato a allestimenti letteralmente faraonici, con sfilate di cavalli, elefanti, e chissà cos’altro.
Zeffirelli qui ci conduce nel mondo dell’essenziale, in quei sentimenti profondi e simili di Amneris e Aida, entrambe perdutamente innamorate di Radamès: l’una figlia del faraone, l’altra serva etiope al servizio della prima. Il triangolo amoroso, tipico nel melodramma, nel libretto di Antonio Ghislanzoni, è gravato da un accumularsi di forze maggiori. I segreti, l’onore, i Numi, il dovere, la carriera, i sentimenti: i tre personaggi principali lottano per trovare uno spazio in cui dare fiato alle proprie emozioni, o almeno poter sperare nei propri desideri. Niente da fare, sembrano sempre scontrarsi con quella pietra che, nel finale, sarà più concreta che mai nel dare la morte a Aida e Radamès (e che resterà sempre come un peso nel cuore della stessa Amneris).
Il cast è di altissimo livello: niente ci delude nella compagine diretta da Marco Boemi, sul podio dell’Orchestra Regionale Filarmonia Veneta. Donata D’Annunzio Lombardi, interprete tipicamente pucciniana, presta la voce al ruolo eponimo: è una serva decisa e profondamente lacerata, che punteggia la sua interpretazione con una serie di insidiosi pianissimo, riecheggiando, talvolta, la Liù turandottiana. Al suo fianco – in scena come nella vita – il calabrese Leonardo Caimi (Radamès), tenore dalla voce decisa e ficcante, in piena ascesa negli ultimi mesi. Su tutti svetta però Giovanna Casolla, napoletana, classe ’45, vera iron lady del melodramma italiano, che qui torna a vestire i panni di Amneris. Vederla in teatro è sempre un’emozione enorme: solo l’ascolto dal vivo rende giustizia alla sua voce ricca di armonici, sempre ben calibrata seppur pronta, quando necessario, a sovrastare quella dei colleghi, del coro e dell’orchestra. Il suo personaggio è quello più finemente scolpito, grazie alla sua interpretazione frutto in egual misura di esperienza e talento.
Questo piccolo gioiello realizzato da Zeffirelli non dà segni di invecchiamento: ottimamente realizzato, sa rendere intatto lo spirito dell’opera verdiana senza ricorrere a sotterfugi o trovate brillanti. È filologico e tradizionale: qualità che, di per sé, non sono un merito né un difetto. In questa declinazione, però, evita il banale e il polveroso: questo, più di ogni altra cosa, lo rende potenzialmente immortale.