Ogni martedì e giovedì Karl incontra il fratello Robert.
Ogni martedì e giovedì, a turno, i due si fanno visita, svogliatamente – così dicono.
Lo fanno per elaborare il lutto della scomparsa di Mathilde, moglie di Karl e cognata di Robert, ma tanto legata al secondo da lasciargli in eredità una casa per le vacanze.
Ogni martedì e giovedì Karl, ex giocoliere, e Robert, ex attore, debbono prepararsi e vestirsi per la visita, durante la quale si racconteranno il proprio lutto, cioè i propri ricordi di Mathilde, le proprie idiosincrasie, i propri conflitti irrisolti, ma senza veramente ascoltarsi. Lo fanno per abitudine, perché la rigorosa abitudinarietà, tratto distintivo dei personaggi di Bernhard, è l’unica possibile reazione ai soprusi dell’esistenza.
I ricordi si accumulano dentro il vecchio e austero appartamento di Karl (Sandro Lombardi): fotografie, mobili antiquati, come gli abiti della defunta moglie, una gabbietta che dondola appesa a una piantana, un orologio da parete, un alberello natalizio. I ricordi svuotano il futuro. Se le mente ferma il tempo nel tentativo, vano, di comprendere il passato, qualunque luogo finisce con l’essere un gabbia di parole e ogni situazione, un’atroce cattività.
Dopo ogni martedì si arriva al giovedì. Il pubblico deve spostarsi, così come gli attori, e raggiungere l’appartamento di Robert (Massimo Verdastro).
Simili e diverse le due stanze, quasi che l’una fosse un’imitazione malriuscita dell’altra, o un falso ricordo. Quella di Robert è arredata più modernamente, c’è più luce, due comode poltrone e un ampio tappeto rosso. Ma anche un orologio a cucù e un piccolo albero di Natale. I ricordi possono essere un copione da provare e riprovare. Come la parte di Re Lear su cui Robert si impunta, non avendo mai potuto recitarla dal vivo.
I monologhi ricorsivi e rancorosi di Bernhard si ripercuotono su se stessi con il masochismo dell’intelligenza; i dialoghi, nient’altro che soliloqui in contrappunto. Karl e Robert, cioè disciplina e idealismo; regolarità e sentimento; Schönberg e Brahms. Ma l’apparenza inganna, e si deve credere invece che i due siano più vicini di quanto possa immaginarsi, se è vero che, pur con tutta l’acredine che mostrano, non possono fare a meno di imitarsi, scontrarsi, ritornare l’uno all’altro come due metà incompiute, due analoghi ritratti senili.
La regia di Federico Tiezzi, che fu premiata nel 2000 con il premio UBU (il presente spettacolo è dunque una ripresa), non stupisce per gli effetti speciali, come si usa dire, semmai per la raffinata silenziosità. La più interessante disposizione sta nell’aver veramente situato il testo in due stanze diverse (nel caso di Castello Pasquini, la scelta è ricaduta con molta logica sulla sala del camino, coi suoi usurati affreschi, e su una sala museale, dalle anonime pareti di cartongesso). Una volta trovata la configurazione scenica, è stato sufficiente affidarsi al corpo e alla voce dei due protagonisti per far risuonare come si deve le parole di Bernhard: la gestualità ricca di Lombardi, chiave psicopatologica per comprendere la persona; le minime variazioni mimiche di Verdastro, che quasi intenerisce.
Spettacolo per pochi, in tutti i sensi.