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Innocenti e colpevoli: sabbia negli ingranaggi

Sguardazzo/recensione di "Come un granello di sabbia"

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Cosa: Come un granello di sabbia
Chi: Salvatore Arena
Dove: Camaiore (LU), Teatro dell’Olivo
Quando: 16/02/2017
Per quanto: 60 minuti

Ormai un mese fa (abbiate pazienza, a volte siamo un po’ lenti) al Teatro dell’Olivo di Camaiore si è recata una divisione di giovani arlecchini, massimi esponenti di quella schiera di fanciulli che a vent’anni già si sente anziana, strano secolo il nostro.

Come un granello di sabbia racconta la vita di Giuseppe Gulotta, e la espone in una struttura narrativa lineare. Questa storia inverosimile inizia in anni che sentiamo ormai lontani, e che i più giovani tendono a ignorare: io stessa, pensando agli anni Settanta, mi figuro lussureggianti rockband anglo-americane, non certo il grigiore degli anni di piombo.
1976: ad Alcamo Marina (Sicilia occidentale) vengono uccisi due carabinieri. Gulotta, appena maggiorenne, viene portato in caserma e pestato fino a che non confessa, pur innocente, l’omicidio. Assieme a lui confessano altri tre ragazzi, di cui due minorenni. Gulotta passa gli anni successivi tra processi, carcere e arresti domiciliari: soltanto dopo il 2011, in seguito alla confessione di un carabiniere pentito, viene prosciolto dalle accuse.

Un solo attore (Salvatore Arena) e una scenografia essenziale: tutto, in questo spettacolo, comunica una semplicità quasi naturalistica. In scena appare il diciottenne pieno di vita, mentre in platea il vero Gulotta, quarant’anni più tardi, osserva sé stesso, una sorta di Amleto, che già conosce la vicenda.
Lo spettacolo inizia gioiosamente: il ragazzo, in motorino, urla in siciliano, la settimana è finita: si va al mare. L’atmosfera si incupisce: adesso è in caserma; lentamente, la vitalità muta in un’angosciante attesa, di cui non si comprende né il motivo né lo scopo. Il pestaggio è rappresentato in modo semplice, efficace: Gulotta, adesso, non è che carne da macello calata dal soffitto (struttura costruita in legno da Aldo Zucco), inconsapevole e incapace di agire, colpita ripetutamente (Arena è ora uno dei carabinieri). Nella luce, piccole schegge di legno paiono esplodere nella follia di una violenza irrazionale. La narrazione procede, e il giovane raggiunge la maturità sotto il peso di una colpa inflittagli da altri, incapace di lavare il proprio nome. Arena dà voce ai vari personaggi che tessono questa insondabile trama: gli amici, la moglie, avvocati, giudici… Sono diversi i momenti che ci colpiscono con la loro sincerità, nella descrizione di una vita che, pur segnata da colpe altrui e quasi distrutta, si ricostruisce poco per volta, combattendo per la propria libertà, ignorando il funzionamento di un sistema più grande, impalpabile, pesantissimo.
Le musiche di Luigi Polimeni non sembrano esattamente in linea con lo spettacolo: paiono appoggiarsi all’impostazione scenica senza adattarvisi completamente.

Il diciottenne spaurito diviene infine un uomo segnato dagli anni, con una famiglia e un figlio alla cui infanzia non ha potuto assistere, finalmente libero. Non c’è rabbia, nella rappresentazione di una tragedia che suscita ribrezzo: lo spettacolo non è affatto asettico, trasmette tanto la disperazione quanto la speranza, ma non scivola mai, e gliene siamo grati, nello spinoso territorio del giudizio morale.
Sia gli innocenti che i colpevoli, sembra suggerirci Massimo Barilla (regista e drammaturgo affiancato dallo stesso Arena), sono granelli di sabbia incastrati in un meccanismo più grande, incomprensibile per chi ne fa parte, e i colpevoli che conosciamo non sono che fantocci che operano automaticamente: la colpa si frammenta, diviene sopportabile, e non può che saltarci alla mente che qualcuno non poi troppo tempo fa parlava di una banalità del male che tendiamo ad allontanare da noi nel tempo e nello spazio.

VERDETTAZZO

Perché: Sì, oppure no
Se fosse... una penna sarebbe... blu

Locandina dello spettacolo



Titolo: Come un granello di sabbia

testo e regia Salvatore Arena e Massimo Barilla
con Salvatore Arena
scene Aldo Zucco
musiche originali Luigi Polimeni
disegno luci Stefano Barbagallo


A diciotto anni Giuseppe Gulotta, giovane muratore con una vita come tante, viene arrestato e costretto a confessare l'omicidio di due carabinieri ad Alkamar, una piccola caserma in provincia di Trapani. Il delitto nasconde un mistero indicibile: servizi segreti e uomini dello Stato che trattano con gruppi neofascisti, traffici di armi e droga. Per far calare il silenzio serve un capro espiatorio, uno qualsiasi. Gulotta ha vissuto ventidue anni in carcere da innocente e trentasei anni di calvario con la giustizia. Non è mai fuggito, ha lottato a testa alta, restando lì come un granello di sabbia all’interno di un enorme ingranaggio. Fino al processo di revisione (il decimo, di una lunga serie), ostinatamente cercato e ottenuto, che lo ha definitivamente riabilitato. Una storia dai contorni oscuri e tormentati, dalle conseguenze violentemente drammatiche e non risanabili. Per quello che Giuseppe Gulotta ha vissuto, protagonista suo malgrado di questo itinerario, ma anche per le altre varie vittime della vicenda, affrontare questi avvenimenti sulle tavole di un palcoscenico pone di fronte ad una grande responsabilità. La responsabilità, certo, di non tacere l’incredibile vicenda legale, la lunghissima serie di omissioni, errori, leggerezze, falsificazioni, palesi violazioni della legge che oggi ci fanno definire questa vicenda come una vera e propria frode giudiziaria. La responsabilità, naturalmente, di non dimenticare il contesto e gli interessi in campo che generano il dramma. Ma principalmente la responsabilità di declinare la drammaturgia, attraverso la vicenda umana di Giuseppe (ma anche di Salvatore e Carmine – le due vittime della strage – o di Giovanni, Vincenzo, Gaetano – gli altri capri espiatori designati) rendendo giustizia alla sua dimensione personale, quella di una vita quasi interamente sottratta per ragioni inconfessabili. Provare ad innescare un processo di identificazione, pur senza aver attraversato quello che lui ha attraversato, senza aver sofferto quello che lui ha sofferto con un incredibile senso di dignità e consapevolezza. Provare a compiere questo corto circuito narrativo riuscendo a sottrarsi a qualsiasi intento retorico.

Sara Casini
Sedicente studentessa universitaria, apparentemente giovane: nella realtà ha almeno il doppio degli anni e il triplo della malvagità dimostrate dagli occhioni azzurri e il sorriso inoffensivo.