Nella platea del Teatro del Giglio si intravedono un paio di orecchie da Shrek, ma non molto altro ci ricorda che ci troviamo nella Lucca dei Comics & Games. Lo spettacolo di cui ci accingiamo a parlare, L’Oreste ideato da Francesco Niccolini, si sviluppa proprio nell’àmbito del festival: si tratta della nuova opera del progetto Graphic Novel Theater, varato nel 2017 dalla collaborazione tra Lucca Comics e Teatri d’Imbarco.
Se tutti gli spettacoli succedutisi da quell’anno al 2020 (Una ballata per Corto Maltese, Kobane Calling On Stage, Io sono Cinzia, di cui vi ricordiamo gli sguardazzi qui e qui, e Lucrezia Forever!) prendevano le mosse da fumetti e personaggi preesistenti, a cui sulla scena veniva data nuova forma, L’Oreste propone invece la nascita concomitante del testo teatrale e dei personaggi fumettistici ideati da Andrea Bruno.
Sulla scena, una scrivania coperta di scartoffie, alcuni disegni e quadri accatastati sullo sfondo, un armadio di legno e un letto sul quale è disteso, addormentato, Claudio Casadio, Oreste. Risuona la canzone Parlami d’amore Mariù, cantata dalla voce registrata del protagonista: la melodia dolce entra in contrasto con la voce stonata, e sembra anticipare la dissonanza di un personaggio in continuo attrito con il mondo che lo circonda. Le musiche di Paolo Coletta si coniugano perfettamente con la storia: ora brani avvolgenti accompagnano i ricordi infantili di Oreste, ora armonie più incisive e dissonanti preparano alle rivelazioni più drammatiche.
Oreste si sveglia e parla con il suo compagno di stanza, Ermes, che compare sullo sfondo in forma di disegno solo lievemente animato (la bocca si apre e si chiude quando proferisce parola). Ben presto è chiaro come il personaggio, distratto a fantasticare di viaggi sulla Luna assieme al padre che lo attenderebbe in Russia, sia ospite dell’ospedale psichiatrico di Imola: inevitabile sospettare che alcuni dei personaggi che appaiono nella sola forma grafica siano frutto della sua immaginazione. La piattezza, letteralmente bidimensionale, degli interlocutori viene controbilanciata dalla dinamicità del protagonista. I dialoghi (con attori non umani, seppur tutti con voce umana registrata) prevedono spesso risposte rapidissime, e il rischio di una sovrapposizione di battute non è da sottovalutare: mantenere un ritmo tanto precisamente misurato sembra quasi una prova di abilità. L’attore riesce a tenere in piedi l’illusione, ma talvolta si intravede lo sforzo di sostenere il ritmo serrato.
I personaggi-fumetto invitano Oreste a riflettere su sé stesso, e lo spettacolo complessivamente sembra configurarsi come una seduta psicanalitica, attraverso la quale si riscoprono poco per volta esperienze traumatiche che il protagonista aveva rimosso o reinterpretato. L’attenzione dello spettatore viene catturata perché, come in un romanzo giallo, si vuole scoprire quali siano gli eventi che hanno condotto alla situazione presente.
Le tragedie si susseguono: prima una morte accidentale, una famiglia che si sfalda, poi un omicidio, e altro ancora. La storia è un continuo gioco al rialzo, e se la prima disgrazia ci colpisce per la sua crudezza, in seguito sentiamo svilupparsi un desiderio morboso di farci servire storie sempre più macabre, quasi grottesche: lo spettacolo non delude, e costruisce un crescendo intensissimo, che schiaccia il protagonista sotto il peso di un passato terribile.
Tuttavia, talvolta il ritmo incalzante (sia delle registrazioni che, più in generale, del procedere del testo) sembra avere la meglio sulla narrazione. Si tratta di una prima assoluta: saremmo molto curiosi di rivedere questo lavoro dopo qualche replica, perché certi che saprà rafforzarsi.