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La bambina in rosso: la favola noir di Sandro Mabellini

Sguardazzo/recensione di "Cappuccetto rosso"

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Cosa: Cappuccetto rosso
Chi: Riccardo Festa, Caroline Baglioni, Cecilia Elda Campani
Dove: Lucca, Teatro San Girolamo
Quando: 24/03/2015
Per quanto: 50 minuti

Variazione sul tema, declinazione sapiente d’un patrimonio condiviso. Teatro è (anche) questo. O, volendo, solo questo, perché ogni volta che si va o si mette in scena un soggetto, si riparte da zero, lo si riscrive, lo si riformula, proponendone una più o meno rinnovata collocazione al mondo. Per questo la recente immersione in quel pelago chiamato teatro ragazzi (quasi i minori fossero una sorta d’indiani o di specie da proteggere) grazie, ma non solo, al Lucca Teatro Festival, costituisce una robusta occasione per rinnovare lo sguardo in direzione della scena.

Tra le prime opportunità, un’interessante versione di Cappuccetto rosso, regia di Sandro Mabellini, basata su una recente rilettura francese del racconto reso celebre da Perrault o dai fratelli Grimm. L’autore di spettacoli (così si definisce) Joël Pommerat colloca tutto all’interno d’una cornice contemporanea, giocando sulla moltiplicazione e lo sfalsamento dei piani. Un ordinario e deprimente alveo familiare (due genitori distratti, una bimba vivace giunta alla soglia dell’adolescenza) costituisce il quadro circostante la fiaba, chiosandone ulteriormente il senso di racconto formativo, nel delineare il passaggio, tanto “normale” quanto inquietante, dalla fanciullezza all’età adulta.

Scena nuda: due sedie al centro e poco più. A sinistra, un’altra postazione, un piccolo tavolo, un baule, un’asta al cui capo sta un microfono. Riccardo Festa è il padre vago, in altre faccende affacendato, della bimba bionda (Caroline Baglioni); terzo comodo, madre (Cecilia Elda Campani) tutt’uno col proprio smartphone. L’infante freme e, dopo qualche bizza, induce il genitore al racconto. L’uomo diviene così narratore polifonico, demiurgico rispetto sia alla storia sia allo spettacolo; è lui, infatti, ad azionare le luci (sul tavolino sta un mixer), a controllare l’audio, innescando effetti sonori tramite una pedaliera. Lui è la voce (il verbo) che tutto mòve e declina: le attrici, avvolte in abiti neri con scoperta buona porzione di gambe, fungono da carnose marionette, dando vita a repliche e sdoppiamenti dei suoni emessi a voce, nuda o amplificata.

Il gioco mette in crisi le identità: Baglioni diviene canuta nonnina (passaggio che quasi evoca l’oscillazione della fata pinocchiesca, che è bambina alla prima citazione nel racconto collodiano), Campani assume i tratti bestiali del lupo. Lo slittamento è aiutato da maschere d’efficace stilizzazione, oltre che da un’opportuna variazione gestuale. Mancano alcuni elementi del popolare racconto, tra cui la sequenza «Ma che occhi grandi che hai?»: non è un caso e, comunque, la scelta pare coerente. La storia si compie, col peculiare ritorno all’ordine, non senza un velato umorismo.

L’esecuzione convince, pure al netto di scelte non sempre leggibili, come l’alternanza voce amplificata/voce umana che potrebbe essere condotta con maggior chiarezza d’intenti (a meno che non ci sia sfuggito qualcosa). L’altra perplessità risale direttamente a Pommerat: siamo tanto sicuri che la fiaba richieda, renda urgente una qualche attualizzazione? O, piuttosto, una virtù della sua inusitata potenza risiede proprio nell’indefinizione intima e profonda che la slega da qualsivoglia legame storico? Con questo dubbio, ci uniamo all’applauso della giovanissima e attenta sala del Teatro San Girolamo.

VERDETTAZZO

Perché: Sì, oppure no
Se fosse... una bibita sarebbe... una Coca light

Locandina dello spettacolo



Titolo: Cappuccetto rosso

di Sandro Mabellini
narratore Riccardo Festa
con Caroline Baglioni, Cecilia Elda Campani
costumi Chiara Amaltea Ciarelli
organizzazione Lisa Momenté


dagli 8 anni Cappuccetto rosso è una storia universale e molto antica. La fiaba racconta il passaggio dall’età dell’infanzia-adolescenza all’età adulta. A partire da una situazione familiare complessa, l’eroina deve superare una serie di prove per costruire la sua personalità e trovare una situazione stabile. L’autore prosegue con la sua scrittura l’operazione sulla fiaba già effettuata da Charles Perreault e dai Fratelli Grimm, ovvero trasferire in prosa il racconto orale, attraverso la semplicità dello stile, il discorso diretto. Pommerat – affidando lo sviluppo della storia alla continua evocazione del narratore – ha portato alle estreme conseguenze l’intuizione della versione originale di Perreault, dove si trovano didascalie del tipo Si devono pronunciare queste frasi con una voce più forte per fare paura al bambino come se il lupo lo dovesse mangiare. La rivisitazione del racconto tratta sempre di una sottile esplorazione che procede per suggerimenti – senza mai consegnare niente di esplicito – attraverso il linguaggio diretto della fiaba proveniente dalla tradizione orale, dei legami familiari in rapporto al tempo presente: una mamma bella e stressata, in eterno movimento ma che non dedica tempo alla sua bambina; gli unici momenti in cui la guarda sono quando gioca con lei a farla morire di paura fingendo di essere una bestia mostruosa. Un attore, due attrici e due sedie sono più che sufficienti ad un’esplorazione contemporanea del mito, soprattutto se supportati dalla scrittura del più apprezzato e rappresentato autore francese contemporaneo, che proprio a partire da Cappuccetto Rosso ha deciso di intraprendere un viaggio di esplorazione della fiaba avvicinandola allo sguardo e alla sensibilità dei bambini di oggi.

Igor Vazzaz
Toscofriulano, rockstar egonauta e maestro di vita, si occupa di teatro, sport, musica, enogastronomia. Scrive, suona, insegna, disimpara e, talvolta, pubblica libri o dischi. Il suo cane è pazzo.