Quando inizia uno spettacolo? Dov’è il confine tra gente-che-parla-su-un-palco e teatro? Forse lo si è varcato non appena siamo entrati in sala, dove Nicola Danesi De Luca e Iacopo Fulgi (il duo romano Tony Clifton Circus), i volti seriosi, comunicando tra loro con brevi e secchi cenni del capo, si muovono tra le poltroncine e scrutano chi ancora sta entrando. Offrono agli astanti bicchierini di acquavite, instaurando così un clima di complicità e assottigliando il divario tra pubblico e attori, cronaca e finzione: stiamo tutti per affrontare il freddo artico.
Le luci però sono ancora accese e, come Wagner insegna, prerogativa per l’opera teatrale è il buio. I due infine tornano ad abitare la scenografia: siamo in un rifugio in Groenlandia, un tavolo, qualche sedia, una pentola fumante e una consolle, che sarà manovrata unicamente da Fulgi. Dal fondo della sala arriva trafelato Luca Zacchini, questa sera unico rappresentante in scena de Gli Omini (loro è Progetto Casamatta, di cui stiamo vedendo una creazione) e ideatore, assieme a Francesco Rotelli e Giulia Zacchini, della trilogia Circolo Popolare Artico – tre episodi di vertigine polare. Le luci sono spente, ma Zacchini, raggiunti gli altri due, ancora non è nello spettacolo: ci osserva, siamo pochi stasera, qui al Piccolo Teatro Mauro Bolognini; poi prende la cartina e, dopo aver rammentato dove era terminato l’episodio precedente, Prove di resistenza (che conosciamo solo dalle note di regia), nomina i luoghi in cui si svolge il presente episodio, La bufera.
L’Artico ha le sue leggi non scritte, spiega Maestro (Danesi De Luca), una delle quali è la necessità di saper raccontare una buona storia. Questa è la premessa che ci porta a immergerci nei quadri tratteggiati a partire dalle pagine dei racconti di Jørn Riel, dichiarata fonte e ispirazione dell’intera trilogia. La bufera sarà il filo conduttore dei tre skrøner (storielle che potrebbero o meno essere vere, i tall tales per intenderci) portati sulla scena. Prima una bufera interna: i sentimentali penseranno a qualcosa di emotivo, ma è di intestino che stiamo parlando, di matite perse e di un massiccio uso di olio di sardine per recuperarle. Poi una bufera di neve, che porterà alla lotta con un orso e allo sparo di un fucile e, infine, una bufera maldestramente raccontata quando il titubante allievo (Zacchini) infrangerà un’altra legge artica: mai rovinare un finale.
Punto di forza dell’opera è la narrazione: arguta e frammentata, trae ritmo ed efficacia proprio dal suo essere asistematica e suscettibile di sconfinamento nel delineare i personaggi. Maestro, esperto cantastorie dotato di microfono, si muove sulla cornice, narratore onnisciente che non manca di scivolare nelle trame di cui muove le fila, ora interagendo con Zacchini e Fulgi, interpreti al servizio delle sue parole, ora ricoprendo il doppio ruolo di autore-attore; allo stesso modo, gli altri due talora emergono dall’excursus per dialogare con il pubblico o con Danesi De Luca.
Uno spettacolo a tratti esilarante che rapisce e coinvolge anche grazie all’impatto visivo. Non solo per le notevoli maschere di Eleonora Spezi (un irriverente tricheco e un orso sensibile), ma soprattutto per la vivida traduzione scenica degli aneddoti evocati tra palco e platea.
Il finale, come quello di ogni secondo episodio che si rispetti, è troncato, non risolutivo, e viene da chiedersi, per quanto di questi tempi basti l’ambientazione polare a connotare l’operazione, tra un sorriso e un applauso, quale sia la direzione che intende prendere l’intero progetto, quali siano i punti all’ordine del giorno del Circolo Popolare Artico.