È raffinata l’apertura del Lucca Teatro Festival 2016 con La Cattiva Compagnia, il gruppo responsabile della manifestazione, che porta in scena Il berretto a sonagli di Luigi Pirandello, lucida e acuta riflessione sulla posizione della donna nella società borghese di inizio Novecento. Si tratta di uno spettacolo ambizioso, certo non limitato al solo pubblico giovanile (dai 13 anni recita, giustamente, la locandina) e che potrebbe aspirare sia ai circuiti scolastici sia ai cartelloni “regolari” dei nostri teatri.
La regia di Giovanni Fedeli trasforma il grande palcoscenico del Teatro del Giglio quasi in uno scorcio d’impianto fotografico: le luci evidenziano la parte centrale della scena, lasciando il resto all’oscurità, mentre un piccolo fondale – come la parete di una camera – limita la profondità. Quattro sedie di legno, spartane e girevoli, si trovano agli angoli dello spazio. L’inizio sembra un combattimento virtuale, forse contro sé stessi, contro il proprio istinto o l’espressione della forza che nasce dalla verità, in un piccolo ring delimitato da un fascio di stoffa. Dura poco e lascia il posto al dipanarsi della vicenda.
Lei, la signora Fiorìca (Elisa D’Agostino) è già accecata dalla gelosia per il tradimento del marito con la moglie del signor Ciampa e trama la vendetta che porterà allo scandalo. Sulla scena, altri due personaggi femminili, la fedele serva Fana (Cristiana Traversa, casto abito lungo rosso cupo) e la Saracena (Tiziana Rinaldi), donna di dubbia moralità, guanti e calze rosso fuoco: modelli muliebri alternativi, la donna mite guidata dal buon senso e quella spregiudicata che segue l’istinto, costi quel che costi. Per chi guarda lontano, è qui che l’epilogo ha origine, nell’istinto sordo incapace di accettare le ingiuste regole della società civile che, ineluttabili, fagocitano tutti, uomini e personaggi.
Tutti ambigui i personaggi maschili: il fratello Fifì (Rolando Giancola) è un viscido opportunista, il delegato di polizia (Federico Pecchia) ha timore persino di applicare la legge e, nel caso di Ciampa, Giovanni Fedeli appare del tutto a proprio agio nella parte dell’ipocrita coniuge tradito. Altra storia per la madre-matrona della casa (ancora Tiziana Rinaldi) presentata nella sua fissità statuaria come icona da adorare, in una struttura rigida e circondata da lampadine: è quello la donna che sa qual è il proprio posto, incarnando benefici e sacrifici del compromesso sociale.
La platea, discretamente affollata, segue bene il ritmo crescente della voce degli attori e, partendo da una riflessione empatica, vive le emozioni della donna tradita. I dialoghi procedono incalzanti con i diversi personaggi e i loro subdoli consigli. Un quadretto da cui lo spettatore non stacca gli occhi perchè avvolto nella intrinseca ironia pirandelliana, resa sulla scena con maestria e abilità, in un’efficace cristallizzazione di gesti e parole.. Ciascuno svolge la propria parte e proprio colei che aveva osato gridare la verità ne resta vittima paradossale. Quale migliore astuzia se non quella di mutare il tutto in un atto di follia? Il dubbio è la vera essenza. Da solo mina certezze e mette in discussione la stessa realtà soprattutto se è gridato dalla voce del più forte.