Festival Inequilibrio 2015: tra le molte prime nazionali presentate a Castiglioncello, eccoci a soffermarci sull’ultimo, raffinato allestimento del collettivo Macelleria Ettore, drammaturgia originale che attinge a piene mani dai Racconti di Čechov, frantumandoli a suon di sapienti sforbiciate. Il titolo è emblematico, riesuma parole dello stesso autore, il quale, a mo’ di consiglio rivolto al fratello scrittore, concesse una esplicita dichiarazione della propria poetica: «Prendi qualcosa dalla vita di ogni giorno, senza trama e senza finale». Poetica qui digerita dagli autori dello spettacolo, che, invece di procedere seguendo una narrazione lineare, giustappongono senza soluzione di continuità una moltitudine di frammenti brevissimi, storie di umanità in conflitto, percorse da gioie e turbamenti, incontri e separazioni, in un mosaico in cui intervengono decine di personaggi diversi. A interpretarli, due coppie di attori, una più giovane e una più matura, secondo una scelta all’insegna della essenzialità che si rivela più che mai efficace e che dona, a dispetto della complessità del lavoro attoriale, limpidezza ed equilibrio alla macchina scenica.
I quattro (Claudia de Candia, Stefano Pietro Detassis, Maura Pettorusso e Angelo Romagnoli) attendono il pubblico già sul palco, i corpi avvolti in una tenue luce che ne avvolge i respiri e gli sguardi, ciascuno immerso nel proprio pensiero in una sorta di delicato, evanescente tableau. L’atmosfera è rarefatta, i personaggi sembrano appartenere allo spazio, lo definiscono, allo stesso modo degli elementi scenografici: pochi ma sufficienti a comporre un ambiente polivalente, salotto sui generis che riunisce contemporaneamente caratteristiche da interno e da esterno, con elementi di arredamento primonovecentesco accostati, in pacifica convivenza, a un tappeto di verdissima erba finta.
La regia di Carmen Giordano fa a meno delle quinte e sceglie di affiancare ai personaggi in primo piano la silenziosa controscena di chi non è coinvolto nei dialoghi: presenze impalpabili, ma intimamente legate al racconto, che ad esso assistono e con esso convivono; si pensa, con le dovute precauzioni, al Von Trier di Dogville e Manderlay, in cui sono le planimetrie disegnate sul pavimento a farsi scena, permettendo la vista di chi in scena non è, pur essendoci fisicamente.
Ai lievi e a volte spietati giochi d’amore della giovinezza, resi mirabilmente dalla grazia della brillante de Candia, si contrappone l’indolenza dell’età matura, ultimo lascito di una dolorosa accettazione di fronte agli scherzi giocati dal destino. Quel che risulta è un articolato concerto di emozioni, forse lievemente penalizzato dalla durata complessiva, ma estremamente ben orchestrato: un quadro delicato ma tutt’altro che privo di vitalità, che, pur mantenendo uno stretto legame con pratiche teatrali contemporanee (la struttura per sintagmi così come la povertà dell’allestimento), appare come un piccolo gioiello d’altri tempi, primo tributo al maestro russo offerto dalla compagnia all’interno del progetto Cantiere Čechov, che si prefigge come punto d’approdo l’allestimento di Il giardino dei ciliegi nella stagione teatrale 2016/2017. Cercheremo di esserci.