Nell’ambito del festival Collinarea, che si tiene a Lari da ormai 18 anni, vi raccontiamo oggi di Il mascheraio, di e con Andrea Cavarra.
Questa performance rimanda a un progetto più ampio, che comporta un piccolo corso sulla creazione di maschere; mi limito però a dedicare qualche parola a ciò cui abbiamo assistito mercoledì 27. Se è vero che al termine performance possiamo rimandare una miriade di manifestazioni, tra cui questa, è più complicato decidere se chiamare o meno spettacolo questa esibizione, che si tiene sul limite tra una lezione e un’improvvisazione.
Sul palco allestito in piazza Vittorio Emanuele si trova un tavolo che pare un piccolo atelier, ricoperto di maschere di cuoio, calchi e altri piccoli oggetti atti a caratterizzare i personaggi cui le maschere danno vita. Cavarra avverte che la performance chiamerà l’intervento del pubblico, rifilandoci la leziosa tiritera “questo non è cinema né tv, qui le persone sono in carne ed ossa”; in realtà il pubblico chiamato in causa si ridurrà a una sola persona, peraltro anche lei attrice o almeno aspirante tale, tiriamo quindi un sospiro di sollievo e ce ne stiamo comodamente seduti.
Inizia dunque dando al pubblico qualche basilare nozione riguardante la Commedia dell’Arte: ambientazione storica e geografica, motivo dell’utilizzo delle maschere, modo di rappresentazione e poco altro. Ci presenta poi il primo personaggio, lo Zanni, descrivendocene il senso storico-sociale e le principali caratteristiche, gli dà vita vestendone la maschera e crea un’improvvisazione grazie all’aiuto della fanciulla prelevata alla platea. L’improvvisazione, semplice certo, è brillante e divertente, e strappa fragorose risate al pubblico. Abile Cavarra nel creare equivoci esilaranti, ma forse ancor più degna di plauso la ragazza presa alla sprovvista, una certa Giulia nata sotto il segno dello scorpione, a cui facciamo riverenza. Allo Zanni si succedono, poi, due giovani amanti e il capitano di ventura Bocca de Fuego, caratterizzati in modo semplice ed estremamente evidente, nel tentativo di ricostruire l’effettiva rappresentazione della Commedia dell’Arte.
Una rappresentazione divertente nella sua serena semplicità, che purtroppo, almeno in questa occasione, pecca di eccessiva lunghezza (i 40 minuti che ci aspettavamo si sono estesi fino a divenire 80) e la cui struttura necessiterebbe di maggior definizione.
D’altronde all’Arlecchino piacciono le maschere, e si diverte con poco, facendosi qualche sana risata di fronte a personaggi tanto grotteschi.