Marco Plini decide di affrontare La serra, il testo di Harold Pinter che recentemente ha avuto i suoi quindici minuti di celebrità: viene nominato niente di meno che in Birdman, il capolavoro cinematografico appena premiato con due Oscar. Dopo il debutto a Cesena, la piéce sbarca a Prato, al Teatro Metastasio che l’ha prodotto.
Un testo anomalo, The hothouse, in cui la poetica pinteriana si arricchisce di plausibili connotazioni politiche: la vicenda si snoda intorno al gruppo dirigente di un’ospedale psichiatrico, affaccendato a non far niente, se non a esercitare un potere fine a sé stesso. Emblematica, pur se poco utilizzata, la bicicletta da corsa sollevata sui rulli, elemento all’estremo destro della scenografia di Claudia Calvaresi, quasi a simboleggiare la vacuità del tanto divincolarsi.
Mauro Malinverno è Roote, il capo (avvinazzato e irascibile) dell’istituto funestato, nel giorno di Natale, dalle notizie della morte di un paziente e del parto di un’altra. Compassato e rigido, Luca Mammoli interpreta l’ossequioso assistente Gibbs, che tanto si prodiga nel risolvere i problemi, ma finisce col permettere, nel finale, la rivolta dei pazienti che, dopo la morte di tutto il personale, lo porterà al comando del manicomio. Attorno ai due si muove una piccola costellazione di altri personaggi, di cui i più rilevanti sono Miss Cutts (Valentina Banci), amante prima di uno poi dell’altro, e Lamb, l’unico paziente che prende effettivamente parte all’azione (un allampanato Giusto Cucchiarini).
Calvaresi disegna costumi eleganti ed essenziali, ma è la scenografia l’elemento più potente della messinscena: efficace, squadrata, pulita, quasi tagliente. La cabina in plexiglass si staglia centrale e rialzata: fulcro trasparente da cui si dirama il potere del burocrate. Questa pulizia visiva la ritroviamo in una scena di grande suggestione: durante la rivolta degli internati, un’agghiacciante partitura rumoristica è accompagnata da un’infinita pioggia di fogli bianchi. Stentiamo, invece, a ritrovare lo stesso geometrico rigore ㅡ qualità peraltro necessaria al dramma ㅡ nel resto dello spettacolo: tanti sono i tempi lunghi, spesso vuoti, che rendono (per usare un eufemismo) poco avvincente lo spettacolo. La noia non è necessariamente negativa, si sa, e se c’è un autore a cui possa adattarsi, quello è proprio Pinter: è più stridente, in questo caso, proprio con l’aspetto visivo del resto del lavoro, che sembra implorare un ritmo più serrato e cattivo.
I vari generi ㅡ il parodistico, il giallo, il thriller ㅡ si mescolano, ma, uscendo dal teatro, si ha la sensazione di fili perduti nel nulla, privi di una risoluzione decisiva. Dopo quasi due ore, si giunge a una scena post-apocalittica, in cui l’inviato del ministero (Elisa Cecilia Langone, con vestito sgargiante degno della miglior Patty Pravo) conduce un’ispezione sulla scena della strage ricoperta di fogli bianchi. Siamo disorientati: troppe cose si sono sovrapposte, troppi stili si sono succeduti, che non sappiamo come leggere questa scena, che forse aveva un’intenzione più conclusiva.
Il pubblico comunque è reattivo, ride spesso (a volte inspiegabilmente) e infine tributa un generoso applauso ai sette attori in scena.