Guidati da una maschera sorpassiamo l’ingresso alla platea e ai palchetti del Teatro Manzoni di Pistoia per addentrarci nella pancia dell’edificio. Il chiacchiericcio proveniente dal nostro gruppetto cresce mentre percorriamo i corridoi del retropalco e giungiamo infine sul palcoscenico, dove siamo invitati a prendere posto su una gradinata situata di fronte al sipario chiuso a guisa di fondale. È da questa insolita angolazione che assistiamo al terzo e ultimo episodio della trilogia firmata gli Omini Circolo Popolare Artico – tre episodi di vertigine polare, innevato progetto di cui ci siamo persi il primo ma non il secondo appuntamento.
Anche stavolta la scrittura scenica pesca a piene mani tra i racconti del danese Jørn Riel: punto di partenza di questo episodio è La vergine fredda, raccolta selezionata e riadattata da cui lo spettacolo trae titolo e argomento.
Francesco Rotelli (presidente del Circolo), Luca Zacchini e Paola Tintinelli, intorno a un traballante tavolino di legno in un rifugio di caccia in Groenlandia, si apprestano a impastare dei panini all’uvetta. Incidentalmente notiamo che gli oggetti di scena – tavolo, consolle, mobile – sono i medesimi dello spettacolo visto a novembre. Il miscuglio di acqua e farina, modellato dalle mani e dalle parole del presidente, diviene pagnotta, creta, corpo. Così prende forma Emma, riflesso di una ragazza bellissima, «con guance come bignè», erotica allusione e illusione descritta con tono affettuoso e parole morbide. «Volete che vi racconti di Emma?» chiede Rotelli agli altri due, già impazienti.
La messinscena è suddivisa in una decina di capitoli, intitolati e introdotti dalla voce fuori campo di Giulia Zacchini, nei quali Emma (raramente interpretata da Rotelli ma più spesso solo evocata) è non un esile filo conduttore ma elemento cardine, forza motrice e manipolatrice tanto invisibile quanto irriducibile eppure arrendevole a bisogni e desideri di chi se ne sente innamoratissimo padrone. I tre attori, di volta in volta, riarrangiano i vari personaggi, si ridistribuiscono nello spazio – non sempre saranno tutti coinvolti negli skrøner – e seguono il viaggio della donna nella Groenlandia nordorientale, di rifugio in rifugio, ma, soprattutto, di uomo in uomo. Da mero oggetto da barattare a indispensabile compagna e sposa, solo nell’ultima trattativa rivelerà la sua vera natura: Emma non esiste. Altro non è che un gioco d’immaginazione, un ricordo vivido e confortante, qualcosa da raccontare, un sollievo dalla morsa della solitudine che inevitabilmente divora un piccolo villaggio di soli uomini immerso nella neve perenne.
Uno spettacolo brillante e irriverente che tratta di sesso e seduzione, divertente al limite delle lacrime. La narrazione deve la sua efficacia alla creazione e repentino scioglimento di tensioni tra assurdo e lirismo (pensiamo allo struggente quadro che vede Tintinelli contemplare il fiordo oltre il sipario aperto, prima di scoprire l’iperbolica erezione che tanto preoccupa l’uomo), tra il calore di un corpo e le difficoltà di un infinito inverno. I tre attori, perfettamente a loro agio in ruoli maschili, femminili o animali, passano da un protagonista all’altro con agilità e bravura, originando inconfondibili caricature di uomini nordici in un clima tanto familiare che neppure una battuta dimenticata è un intoppo.
Il Circolo Popolare Artico (cornice stasera appena abbozzata) non è solo un pretesto per portare alla ribalta un autore peregrino ma nasconde forse un bisogno di evasione, l’alternativa a una società in continuo mutamento che parla per enigmi e gioca con carte truccate.