Fa piacere notare che lavoro e fatica, se ben impiegati, conducono a traguardi fruttuosi: con questa palpabile sensazione accediamo alla sala “Arnaldo Cestaro” di SPAM!, per trovarla una volta di più affollata. Penultimo appuntamento di Qualcosa si muove e, sì, benché non pochi siano operatori e artisti, l’impressione è che, quest’anno, qualcosa davvero si stia muovendo: ce ne compiacciamo.
Una scena sgombra accoglie l’affusolato profilo di Caterina Basso, maglia senape smanicata, pantaloni scuri, corti sopra le caviglie, piedi nudi. Un tappeto d’incerti rumori, quasi domestici: la danzatrice si dinoccola plasticamente per il primo studio (circa 20′) del suo nuovo lavoro, Un minimo distacco. Gesti prima cadenzati, poi franti in sequenze meccaniche: affiora una sorta di scollamento soggettuale, come se la protagonista si sforzasse per paradosso d’uscire da sé, a osservarsi, misurarsi. Il piazzato “naturale” che invade lo spazio si stempera in un’illuminazione più puntuale, segmentata. Emerge ancora l’ironia: riconquistata la posizione di partenza, la performer vomita bianchi confetti come denti (nove in totale: otto in una sequenza di coazione comica, uno più tardi), mentre il paratattico commento sonoro (lacerti di dialoghi, suoni sovrapposti) si rapprende e apre con la bella I’m On Fire springsteeniana. Una nota quasi dolente, una crepa a tarlare il sorriso sin qui tracciato. Attendiamo di vedere come si svilupperà l’idea.
Qualche minuto di attesa, ed è A Loan, ultima creazione (il debutto a Castiglioncello, lo scorso luglio) di Irene Russolillo, danzatrice che conosciamo e apprezziamo sin dai primi soli. Il buio è invaso da un canto: quasi un lamento, intenso, ieratico. È lo Shakespeare dei sonetti, lo deduciamo dal foglio consegnatoci all’ingresso (per la precisione: un estratto dal LXI e il VIII, in versione originale e tradotta). Il suono è denso, la pastosa vocalità rimanda a certe cantautrici indie d’area anglosassone. Una luce lattiginosa e opaca, avvolge una figura antropomorfa e misteriosa: avanza e quasi la nebbia fa attrito ai movimenti. Calva, completamente color carne, sembra nuda: il dubbio è fugato nella centellinata percezione dei pantaloncini scuri. Impugna un microfono. Racconta d’un risveglio in spiaggia: l’atmosfera è desolata, come d’un sogno incastonatosi dentro un’ulteriore proiezione onirica.
Si allarga il ventaglio delle soluzioni: Russolillo, performer poliedrica, convince sotto ogni punto di vista. Le sequenze coreutiche si dipanano sulle musiche di Piero Corso e Spartaco Cortesi, realizzate usando solo e soltanto la chitarra elettrica filtrata da un’effettistica straniante. Partitura a tratti ossessivamente ritmica, che sfuma in momenti di mai inerte stasi: il corpo della danzatrice si plasma, ben lambito dall’illuminazione lunare di Valeria Foti, quasi s’accomoda sui cubicoli neri a fondo scena, raggiungendo un’inconsueta docilità. Cubo e in-cubo, sogno e veglia, reale e irreale.
Riaffiora la voce, e le note più delicate tracciano il profilo di un’estrema e vaga fragilità, elemento costante nei lavori di Russolillo, il cui pregio principale è, a nostro avviso, la potenza inusitata espressa, a prescindere da cosa faccia, in qualsiasi forma si cimenti.
In A Loan, rispetto sia al pregevolissimo Strascichi sia al primo Ebollizione, vien meno la nota ironica, che pure non dispiaceva, in quanto colore supplementare, nient’affatto anodino, all’ampia tavolozza cromatica dell’interprete. Non di meno, il ridondare attorno a un certo delicato intimismo può rappresentare, forse, un rischio per un dispositivo che, al di là degli aspetti scientemente esoterici, ha la rarissima qualità di far penetrare lo spettatore dentro un”mondo”, ossia ciò che sarebbe giusto chiedere a ogni opera d’arte che voglia dirsi tale.