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Leonardo Delogu, tra le pieghe del bosco

Sguardazzo/recensione di "Nella casa c'è un pino che brucia"

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Cosa: Nella casa c'è un pino che brucia
Chi: Hélène Gautier, Simone Evangelisti, Sara Leghissa, Elena Cleonice Fecit, Daria Menichetti, Francesco Michele Laterza, Leonardo Delogu, Giovanni Marocco, Mael Veisse
Dove: Vorno (LU), SPE Dello Scompiglio
Quando: 02/06/2015
Per quanto: 90 minuti

È limpido il cielo sopra Vorno in un pomeriggio di quasi estate. Ci si raccoglie, manipolo di spettatori, a intraprendere l’erta, scollinando sul versante nord-est della Tenuta dello Scompiglio. Le ciliegie selvatiche colte qua e là addolciscono il cammino, sino a quando Leonardo Delogu (capelli rasati, occhi grandi e chiari, fisico da atleta, sorriso accogliente) si congeda per prepararsi, indicando lo spazio riservato al pubblico.

Eccoci, in mezzo al bosco, seduti. In attesa. La performance, pensiamo, è già iniziata: sin dal cammino, essa stessa cammino. Emerge un piano sonoro, una musica, cui si alternerà presto una voce: parla d’un tempo quasi fiabesco, di preghiera e di comunione tra uomo e bosco, tra uomo e natura. Di parole perdute, di memoria infranta.

Il contesto muta: di lì a poco, s’intravede l’arrivo, a una certa distanza, di un gruppo di ragazzi. Abiti casual, sembrano riuniti per un ordinario pic-nic: birre, musica, tra di loro una coppia, qualche risata. Ne udiamo vagamente le chiacchiere, tracce di parole indistinte. Spettatori non visti né previsti, scorgiamo quelle presenze umane, osservandone i gesti come fossimo alberi, sassi, sterpi, animali, insetti.

performance_Nella casa c'è un pino che brucia_di Leonardo Delogu_foto Fabio Artese_2Un senso di alta, quasi ieratica, indifferenza informa il tutto: pensiamo a quanto incida, nel nostro guardare il mondo, il sentimento della coscienza e, con esso, l’esigenza, talvolta disperata, d’individuare, conferire un senso a quanto vediamo. Le interazioni tra i ragazzi si moltiplicano, senza mai risultare davvero leggibili ai fini d’una narrazione precisa: camminano, si allontanano, ricompaiono, si avvicendano.

Un’inquietudine larvale ha via via il sopravvento, come se qualcosa di terribile dovesse accadere. Accadrà. Dall’impianto audio (i diffusori sono nascosti) ecco una voce che, in inglese, parla di musica. Primi sospetti confermati: è David Lynch. Racconta la composizione (da parte di Angelo Badalamenti) di uno dei temi principali realizzati per Twin Peaks, non il più noto, bensì il crescendo più languido, la progressione armonica culminante con una tessitura acuta ed emotivamente intensa. La citazione è enfatizzata dalla comparsa di un corpo femminile in un sacco di plastica: impossibile non pensare a Laura Palmer, protagonista da morta e “motore” di tutta la vicenda alla base del capolavoro televisivo di venticinque anni fa.

performance_Nella casa c'è un pino che brucia_di Leonardo Delogu_foto Fabio Artese_4C’è tempo per ulteriori immagini affastellate, “quadri” che, dall’immersione silvestre in cui ci troviamo, strizzano l’occhio a un immaginario d’impianto statunitense (un giocatore di foot-ball americano, le due ragazze in verde e blu una “doppio” dell’altra, Delogu stesso, nerovestito in abiti muliebri, che impugna un microfono e canta in falsetto su una base ritmata), sino al corpo nudo di Daria Menichetti, “oggetto” consegnato alla nostra vista, a mo’ di sacrificio. E, sulla sinistra, la casa eretta da Giovanni Marocco e Mael Veisse, pronta a colmarsi di candido fumo per il finale (in accordo col titolo) della performance.

performance_Nella casa c'è un pino che brucia_di Leonardo Delogu_foto Fabio Artese_3Le vaghe idee sull’indifferenza del tutto ritornano, mentre si consumano gli applausi per un lavoro peculiare, di certo perturbante e articolato, non al riparo, però, da soluzioni a tratti manieristiche. Il dubbio è che la «relazione con il tempo profondo» alla base della ricerca di Delogu sia anch’essa espressione di una necessità umana, troppo umana e, dunque, sin dalla posizione stessa della domanda, la matrice di una separazione ineluttabile da ciò che ci ostiniamo a interrogare e chiamare natura.

performance_Nella casa c'è un pino che brucia_di Leonardo Delogu_foto Fabio Artese_5

VERDETTAZZO

Perché: Sì, oppure no
Se fosse... un disco sarebbe... "Mellon Collie and the Infinite Sadness" degli Smashing Pumpkins

Locandina dello spettacolo



Titolo: Nella casa c'è un pino che brucia

Leonardo Delogu /DOM-
Nella casa c’è un pino che brucia 

ideazione e regia  Leonardo Delogu
con  Hélène Gautier, Simone Evangelisti, Sara Leghissa, Elena Cleonice Fecit, Daria Menichetti, Francesco Michele Laterza, Leonardo Delogu, Giovanni Marocco, Mael Veisse
luci, oggetti di scena, macchinerie, costumi  Giovanni Marocco
costruzione architettonica  Mael Veisse
suono  Michele Bertoni

una produzione Associazione Culturale Dello Scompiglio


[…] Non sappiamo più accendere il fuoco, non siamo capaci di recitare le preghiere e non conosciamo nemmeno il posto nel bosco, ma di tutto questo possiamo ancora raccontare la storia, e ancora una volta questo bastò. (Estratto da un racconto di Gershom Scholem) Abitare un bosco è un corpo a corpo con il tempo. è lui l’abitante più concreto di questi luoghi. Laddove l’umano si è ritirato o non ha trovato le giuste motivazioni per insediarvisi, vige un altro ordine delle cose, altre leggi, un altro tempo. Quello che Darwin per primo ha chiamato Tempo Profondo, quel fluire continuo, biologico delle cose viventi, qui è percepibile concreto, pervasivo. L’umano oggi si è allontanato dal bosco, l’evoluzione della nostra specie ci ha portato a prediligere la costruzione artificiale di un habitat adeguato alla nostra sopravvivenza, più che l’adattamento e la relazione con lo spazio naturale. Molte cose abbiamo guadagnato, molte ne abbiamo perse. Tra le più importanti c’è la relazione con il tempo profondo. Il problema è di non essere più in accordo con il ritmo da cui veniamo e a cui risponde la materia di cui siamo fatti.In questa distanza che è in primo luogo organica e poi intellettuale, sembra si consumi gran parte dei dolori dell’uomo e la minaccia più grande per tutto ciò che ci circonda. In Nella casa c’è un pino che brucia ci misuriamo con la lotta che emerge quando proviamo a ristabilire un contatto, un accordo, con ciò da cui ci siamo allontanati. Ciò che nasce dall’esposizione dei corpi al tempo è una caduta. Una caduta della comprensione, una caduta dei corpi, una caduta dentro il lato in ombra delle cose, una caduta nel tempo. E quando sopraggiunge la foschia dell’imbrunire, quando nel bosco arriva la notte, qualcosa di misterioso ci avvolge. Tutta la follia, la violenza, il conflitto tra ciò che siamo e ciò che crediamo di essere, s’impossessa dello spazio. Eppure più emerge la ferita, più una voce dal fitto del bosco ricorda che siamo parte dello stesso tempo, che siamo sulla stessa asse di rotazione, che percorriamo la stessa orbita, e che partecipiamo dello stesso movimento. E più sentiamo di essere parte di una casa più grande più la nostra s’infiamma e brucia. La performance è l’esito di un serie di residenze svolte dalla Compagnia alla Tenuta Dello Scompiglio a partire da giugno 2014. La performance è adatta a un pubblico adulto.

Igor Vazzaz
Toscofriulano, rockstar egonauta e maestro di vita, si occupa di teatro, sport, musica, enogastronomia. Scrive, suona, insegna, disimpara e, talvolta, pubblica libri o dischi. Il suo cane è pazzo.