Per una strana coincidenza, Casa di bambola (regia di Roberto Valerio) debutta a Pistoia mentre a Firenze vanno in scena le ultime repliche dell’allestimento firmato da Andrée Ruth Shammah tratto dallo stesso testo di Henrik Ibsen. Assistere, in due sere consecutive, a due diverse letture del medesimo dramma è un’esperienza che aiuta lo sguardo: pur recensendole entrambe, eviteremo la volgarità di un confronto diretto tra i due. Limitarsi a raccontare l’interpretazione del testo ibseniano da parte di Valerio potrà sembrare uno schiacciamento sulla trama: non è così e, per accorgersene, basterà fare il confronto con la recensione dell’allestimento fiorentino.
Nora, protagonista del dramma, è una moglie passiva e disumanizzata in funzione del padre – prima – e del marito – poi. Racconta di aver rinunciato a visitare l’anziano genitore sul letto di morte per adempiere puntualmente ai propri doveri di madre e di moglie. Valentina Sperlì rende il suo personaggio in un’ottica meno ingenua e disincantata del solito: Nora soffre e ne è cosciente fin da subito. Forse è questa consapevolezza costante che toglie potenza al disvelamento finale, che qui è negato. Dapprima decisa a lasciare la casa, la donna sveste il cappotto e si rimette quella parrucca che aveva tolto nel momento della più grande risoluzione della sua vita. Forse è vittima di una forma di sindrome di Stendhal e il marito (Danilo Nigrelli) sembra proprio un inquietante aguzzino, dal volto simpatico e svagato, ma soggetto a scatti d’ira ogni qual volta la moglie provi a contrariarlo.
È un incubo, quello vissuto da Nora, alla mercé di voci accusatorie che riecheggiano nel buio e fantasmi che la tormentano ricordandole il debito che ha contratto anni addietro alle spalle del marito. L’albero di Natale che cade, le ombre alla finestra, la musica agghiacciante: alcuni segmenti horror delineano una casa di bambole inquietante, rendendo l’allegria dei personaggi una mera facciata. Nel climax drammatico, i tre uomini che la tormentano appaiono e scompaiono dalla scena, visibili solo a Nora che ora implora uno, ora chiede aiuto all’altro. Krogstad (lo stesso Roberto Valerio) è un personaggio fintamente inoffensivo, che si rivelerà astuto nel ricattare la protagonista per mantenere il posto di lavoro.
Completa il trio il dottor Rank (Massimo Grigò), affabile amico di famiglia che confesserà il suo amore per Nora poco prima di ritirarsi e celare al mondo il disfacimento fisico dovuto a una grave malattia. Carlotta Vescovo è una signora Linde più giovane della protagonista: anche per lei sarà necessario vivere in funzione di qualcun altro: la sua superiorità rispetto a Nora è solo un illusione.
La scena di Giorgio Gori si compone di due elementi peculiari: sulla sinistra, un muro che è un ammasso verticale di sportelli, cassetti, mensole accessibili da una scala a pioli su cui Nora spesso si arrampica; a destra, una parete ricurva con una porta e due finestre sembra la carcassa di un aereo o l’interno di una nave. Il fragore del mare e il canto dei gabbiani formano un Leitmotiv che ritorna spesso durante lo spettacolo, come l’eco di un sogno lontano. Forse la libertà, forse l’emancipazione o la realizzazione di sé: un canto sempre presente nell’animo di Nora, ma troppo vago per essere riconosciuto con chiarezza e, quindi, impossibile da raggiungere.