Come possiamo essere free spirits, spiriti liberi? Questo l’interrogativo posto dallo spettacolo Free Spirit della compagnia Ariella Vidach\ AiEP.
È buio sul palco allestito nel chiostro interno del Real Collegio. Sentiamo i passi crescere e rincorrersi, prima uno e poi tanti altri che via via vanno a definire un ritmo. Fin dall’inizio, appare chiaro lo sforzo di proporre nuove alternative comunicative perché la parola è solo uno dei molti modi che abbiamo per produrre significato. La parola stessa infatti diventa immagine, proiettata con luci sulle spalle degli spettatori e poi sui corpi dei danzatori, diventa suono, rumore e resta, infine, anche come elemento sonoro significante.
Solo quando si accendono le luci vediamo i corpi che prima si intuivano al buio, corpi che sono stati prima di tutto casse di risonanza, produttori di rumori che, spezzandosi e ripetendosi con ritmi e intensità diversi, accompagnano come movimenti sonori la coreografia.
Il corpo del singolo e dell’individuo nel suo rapporto col gruppo, composto da cinque danzatori, diventa uno strumento di indagine. Così vediamo, attraverso una continua addizione e sottrazione di elementi, come l’individuo possa diventare gruppo e come il gruppo possa dividersi e mostrare al suo interno elementi che, a volte, seguono movimenti in sincrono e altre spezzano l’unità per produrre altro.
La musica insistente, e a volte ridondante, non accompagna costantemente le azioni dei danzatori che, infatti, forzano maggiormente le loro possibilità comunicative: sono essi stessi i produttori dell’accompagnamento ritmico, quando dunque è davvero il loro corpo a “parlare”.
Le frasi che i cinque componenti pronunciano mostrano come mediante continue ripetizioni, abbozzi di significato, desemantizzazioni possano diventare portatrici di un senso nuovo, che è prima di tutto ritmico e sonoro.
Il movimento è in questo senso fondamentale strumento di comunicazione e la vocalità diventa nuovo movimento corporeo poiché è possibile operare su di essa con le stesse tecniche con cui si è lavorato sul corpo\gruppo, cioè scomponendo e ricomponendo i suoni, variandone l’intensità e il ritmo.
Free Spirit ci chiede cosa sia davvero la libertà, se l’uomo sia davvero in grado di decidere spontaneamente cosa fare e dove andare o se, piuttosto, non sia bloccato dal giudizio degli altri e dalle regole del gruppo. Ecco che sul palco vediamo tutti questi impulsi scontrarsi tra loro: c’è il singolo da solo giudicato dal gruppo, c’è poi il suo sforzo di inserirsi, l’inserimento che omologa il suo gesto a quello di tanti. C’è anche il percorso opposto, quello della rottura interna al gruppo, lo scardinamento interno degli equilibri attraverso una progressiva sottrazione degli elementi che portano alla scomparsa del gruppo stesso.
Sembra che la risposta all’interrogativo iniziale risieda nella multiformità, nel cambiamento e nella trasformazione, nell’apertura alle tante possibilità comunicative che il corpo umano offre. Basta saperle cogliere.
Elena Corotti