Minimacbeth: hic et nunc shakesperiano

Sguardazzo/recensione di "Minimacbeth"

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Cosa: Minimacbeth
Chi: Dario Marconcini, Giovanna Daddi
Dove: Seravezza (LU), Scuderie Granducali
Quando: 22/02/2017
Per quanto: 50 minuti

Ne abbiamo già parlato (qui e qui), ma il DNA arlecchino impone curiosità, quindi con piacere abbiamo assisttito alla replica seravezzina di Minimacbeth.
Al liceo per chi era messo male o chi, semplicemente, tentava di sopravvivere faceva uso di… Bignami: ecco se, quando ancora diligentemente me ne stavo tra i banchi, avessi avuto l’opportunità di vedere il lavoro di Marconcini, avrei sicuramente apprezzato.

In circa cinquanta minuti è possibile assistere a tutta la tragedia scespiriana, senza nessun deficit: dalla scena madre della Lady intenta a lavarsi le mani sporche di sangue alla rivelazione delle guardie con i pugnali lordi della morte di Duncan, dal fantasma di Banquo apparso al banchetto al celebre bosco di Birnan. Un testo drammaturgico notevole quello realizzato da Andrea Taddei, che permette un aggiornamento stilistico e, snellendo un’opera datata, la arricchisce di contenuti nuovi. Non sono quindi mai banali o scontate le “parolacce” in bocca ai due protagonisti, connotate di caratteri nuovi e forti, si pensi alla semplice (famosissima) citazione “nessuno nato da donna potrà mai dominare su di te” il cui sigillo femminile diviene figa o fregna. Non è volgare: è reale. È oggi. È ora.

Il pubblico è accolto in uno spazio diverso dalla consueta sala delle Scuderie Granducali: nella stanza attigua è allestita una “scatola” bianca composta da teli; al suo interno, due panche costeggiano i lati lunghi di una tavola in legno coperta di foglie. Una volta seduti, gli spettatori si accorgeranno dei due attori: lei capotavola, il capo chino, lui di spalle, una parrucca bianca.
Sin dal principio si delineano le dinamiche della scena: un susseguirsi di dialoghi fatti di immagini e di controbattute tra la farneticante pazzia di Macbeth/Marconcini e la demiurgica naturalezza di Lady Macbeth/Daddi. Prima spazza via dal tavolo le autunnali foglie con una scopa di saggina, che alla bisogna diviene indomito pugnale, poi struscia e si dimena a terra accendendo e spegnendo candele: è lei, una Lady Macbeth matura, carnefice e sensualissima, che s’accanisce sul coniuge “burattino”, dissennato fanciullo che addirittura si scusa e si nasconde tra le gambe del tavolo per aver visto il fantasma di Banquo.

Come in un film: ogni singola scena è fotografia; le luci sapientemente rendono chiaroscurali profili, volti e silhouette che dalla penombra si rifrangono sui teli che circondano la scena. Sentiamo i respiri, vediamo gli sputi, il sudore e la polvere sul tavolo: tutto è così vicino e vivo che vorremmo anche noi prender parte all’azione, se solo non fosse tanto cruda, così intima, tra lui e lei; e, se non fosse per l’atroce tragedia evocata da quelle parole, ci parrebbe di vedere la coppia d’arte Daddi/Marconcini a casa, davanti al tavolo della cucina intenti a sguardarsi all’infinito.

Ogni oggetto scenico ha una storia: ce lo rivela lo stesso Marconcini dopo gli applausi, la maschera balinese, le grosse lampade nere, ma ciò che mi affascina sono quelle statuette che costituiscono il famoso esercito di Birnan: su un cavallo o a piedi, hanno la loro foglia davanti (che come vuole il testo, serve a celare l’esiguo numero dei combattenti), puro artigianato (i pedoni hanno ai piedi delle vecchie 100 lire per garantire stabilità). Come fatto a mano e autentico è questo spettacolo, che a Seravezza era da tempo non se ne vedeva.

VERDETTAZZO

Perché:
Se fosse... un mestiere sarebbe... l'artigiano

Locandina dello spettacolo



Titolo: Minimacbeth

di Andrea Taddei
regia Dario Marconcini
con Dario Marconcini, Giovanna Daddi
allestimento e luci Riccardo Gargiulo


Francesca Cecconi
Da attrice a fotografa di scena per approdare alla mise en espace delle proprie critiche. Under35 precaria con una passione per la regia teatrale. Ha allestito una sua versione di Casa di bambola di Ibsen. Se fosse un’attrice: Tosca D’Aquino per somiglianza, Rossella Falk per l’eleganza, la Littizzetto per "tutto" il resto.