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Questione di fame

Sguardazzo/recensione di "Miseria e nobiltà"

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Cosa: Miseria e nobiltà
Chi: Michele Sinisi, Ciro Masella, Stefano Braschi, Gianni D'Addario
Dove: Camaiore (LU), Teatro dell’Olivo
Quando: 29/03/2017
Per quanto: 110 minuti

La fame. E la fama. Diverso l’etimo, non dissimile la bramosia ingenerata, benché d’innegabile e imparagonabile urgenza. Questa, non volendo, la prima considerazione assistendo a Miseria e nobiltà, pregevole ordigno scenico offerto dalla riscrittura di Michele Sinisi Francesco Asselta. Torna a Napoli, il teatrante terlizzese, a un altro classico, ché la commedia di Scarpetta è qualcosa di cui l’immaginario collettivo è intriso, Totò gratias. Napoli, il classico, il comico e un rovello costante che ci pare consista nell’indagine irrequieta sullo statuto del teatro, le sue possibilità d’approdo e fuga, i suoi limiti: questi i nuclei attorno ai quali s’avviluppa la poetica d’un regista/attore ormai riconosciuto nell’ambiente, ma che, forse e pure lecitamente, aspirerebbe a qualcosa in più.

Un ritorno: già con l’eduardiano L’arte della commedia (visto all’Eliseo, 2013), Sinisi aveva focalizzato la questione della teatralità quale punto cogente del proprio operare. Nella distanza dei generi, il collasso scenico del temerario Riccardo III (ne scrisse TitomanlioBalestri chiosò) ci parve in relazione a quel De Filippo, benché l’impressione fu d’un lavoro troppo crudo, necessitante di rodaggio.
Tutt’altro passo, questa Miseria, davvero: l’intarsio drammaturgico, calato nell’oscuro nulla d’una scena sgombra, nell’ostentazione quasi pornografica di cavi, quinte e uscite, si dipana in una reiterata dialettica dentro/fuori, vicenda/citazione, storia/memoria pop.
Le anime spiantate, derelitte e mostruosamente affamate di un nucleo famigliare malmesso quanto composito (ah, ma la famiglia d’una volta!) vengono eclissate da viperini inserti stranianti: alla lettera di Totò e Peppino si sostituisce/sovrappone quella di Troisi e Benigni (sua esplicita citazione!), grazie alla mediazione efficace della coppia comica Ciro MasellaGianni D’Addario, con la conseguenza di minare qualsiasi sparuta, residuale velleità mimetica.

Siamo a teatro“. Sempre e comunque. Questo il monito che Sinisi sembra consegnare a una compagnia che l’accontenta appieno in materia di ritmo, tenuta, intensità. Sugli scudi, Stefano Braschi, guascone e inarrestabile, che assai si giova della declinazione bolognese, balanzoniana del cavalier Semmolone; il resto del cast, ottimamente assortito, non è da meno. Il plurilinguismo è solido asse portante di questa farsa della fame: pugliese, emiliano, napoletano, Babele d’accenti e contrappunti per una storia che, come d’obbligo, finirà col matrimonio e il trionfo del nuovo sul vecchio.

Centodieci minuti senza respiro né cedimenti, con Sinisi là, fuori scena ma non troppo, tra recita e rottura, demiurgica figura laterale (dà le luci, interviene) che ricorda certe raffinate soluzioni del Servillo eduardiano (pensiamo pure alla Trilogia o a Le false confidenze). La macchina teatrale è ottimamente oliata, ogni elemento risulta al proprio posto, eppure s’avverte un limite in questo lavoro sin troppo perfetto: tale tornitura rischia, per paradosso, di cristallizzare la festività intrinseca d’una pièce simile in una dimensione estetizzante, come per certe commedie recenti “impugnate” da registi di rango (pensiamo al raggelato Arlecchino di Latella, mancandoci Natale in casa Cupiello). Il tutto, a discapito del divertimento puro, del fou rire. Non è esattamente il caso di Sinisi, ma è pur vero che una farsa di formidabile scrittura come Miseria suscita, in questa fattispecie, meno risate di quanto dovuto (o sperato). E affiora il sospetto d’un lavoro, anzi un lavorìo, senza dubbio encomiabile, ma che rischia di consegnare uno spettacolo atto a compiacere più gli intenditori che un pubblico “reale”, come se la fame di fama prendesse il sopravvento.
Applausi comunque: di Sinisi, giustamente, parleremo (e sentiremo parlare) ancora, e ancora e ancora.

VERDETTAZZO

Perché:
Se fosse... una festa sarebbe... ottimamente organizzata, con invitati simpatici, ma un po' timidi

Locandina dello spettacolo



Titolo: Miseria e nobiltà

dal testo di Eduardo Scarpetta
scritto da Michele Sinisi con Francesco M. Asselta
con Diletta Acquaviva, Stefano Braschi, Gianni D’addario, Gianluca delle Fontane, Giulia Eugeni, Francesca Gabucci, Ciro Masella, Stefania Medri, Giuditta Mingucci, Donato Paternoster, Michele Sinisi
regia Michele Sinisi
aiuto regia Domenico Ingenito, Roberta Rosignoli
scene Federico Biancalani
costumi Gianluca delle Fontane


Miseria e Nobiltà è prima di tutto un testo farsesco scritto da Eduardo Scarpetta sul finire dell’800. Ma in realtà nel tempo e nel suo stratificato percorso storico, con le facce e le maschere dei grandi interpreti del passato, è diventato molto di più fino ad approdare al territorio della memoria istintiva e ancestrale ; senza perdere il senso originario e mantenendo intatta la sua radice teatrale, la rappresentazione della vita segue le forme del tempo presente con tutte le dinamiche che la società ingloba e restituisce ogni giorno. La storia di un povero squattrinato, Felice Sciosciammocca, che costretto a vivere di espedienti per rimediare a fatica un tozzo di pane, dà vita a una fitta tessitura di trovate dialogiche e di situazioni che rappresentano la summa dell’arte attoriale italiana e di quanto di meglio la storia del teatro (in particolare quella napoletana) abbia prodotto nel tenere il pubblico inchiodato alla sedia. Questo testo rappresenta la festa del teatro, quanto di più “Felice” un pubblico possa incontrare. Dalle platee Miseria & Nobiltà è poi migrato nel cinema, grazie al film di Mattoli, e nella tv creando veri e propri simboli e immagini vivide nelle memoria collettiva. Totò (lo Sciosciammocca più celebre) che mette in tasca gli spaghetti è divenuto una sorta di tatuaggio, materia di imitazione in gruppi di persone davanti al bar nella vita di tutti giorni. Miseria & Nobiltà è un Mito, è un collante sociale la cui storia oggi è evocata da alcuni passaggi che tutti in Italia ricordano e sarebbero in grado di citare. “Vingenz m’è padre a me”, “lettera a lu compare nepote”, il momento degli spaghetti, Totò che fa il principe in casa di Semmolone, sono le battute di un ritornello che la platea teatrale ripeterebbe all’unisono con la scena, come succede ad un concerto di musica pop. Miseria & Nobiltà ritorna a quel testo del 1888 solo riscoprendosi rito nell’oggi con una straordinaria squadra di attori che s’impossessano della scena. Dice Sciosciammocca nell’ultimissima battura della storia “Torno nella miseria, però non mi lamento: mi basta di sapere che il pubblico è contento.” Miseria & Nobiltà del mestiere del vivere recitando.

Igor Vazzaz
Toscofriulano, rockstar egonauta e maestro di vita, si occupa di teatro, sport, musica, enogastronomia. Scrive, suona, insegna, disimpara e, talvolta, pubblica libri o dischi. Il suo cane è pazzo.