Con lo spettacolo Quello che non ho il genere del teatro-canzone si presta ancora una volta a veicolare attraverso la musica l’urgenza di una riflessione sociale. Ci si interroga su quello che è ormai lo scheletro di una società ridotta all’osso, spolpata. Marcorè fonde le atmosfere delle “poesie-canzoni” di Fabrizio De André (Quello che non ho, che dà il titolo allo spettacolo, Se ti tagliassero a pezzetti, Una storia sbagliata, Khorakhanè, Don Raffaè, Smisurata preghiera, Volta la carta, Canzone per l’estate) con un collage di fatti di cronaca ispirato al film del 1963 La Rabbia di Pier Paolo Pasolini, nel quale il regista presentava la sua personale visione del mondo. Considerato che la maggior parte di noi vive nella penombra del pensiero, Marcorè decide di puntare i neon, simbolici e principali fonti di luce in scena, su alcuni dei maggiori orrori mondiali. Sono fucilate alla coscienza:
Mercurio, pesci a tre occhi, bambini deformi del disastro ambientale di Siracusa, Priolo, Marina di Melilli il paese che non c’è più.
Le ricchezze grondanti sangue del Congo in mano ai signori della guerra.
L’odio, sempre quello, sempre fresco verso i Rom in un’Italia che ne ha meno di tutti gli altri paesi, ma che li odia anche di più.
Le gigantesche isole di plastica che fluttuano sul pelo delle acque oceaniche.
Lo sfruttamento e la mortalità infantile. La prostituzione e il lavoro forzato minorile. I bambini soldato.
Le tragiche facezie, ridicole e scandalose partorite giornalmente dai politici.
Le notizie vengono lanciate allo spettatore come bombe a mano. La voce calda ma neutra dell’attore lascia tutti in ascolto, non dà respiro, ha il preciso intento di conficcarsi dentro ognuno di noi. La parola porta allo scoperto le macerie di un mondo che vive in una costante, monolitica assenza d’umanità. Ed è in questa carrellata degli orrori che si inseriscono il canto e la bellezza delle parole di De André in un metaplasmo vocale e musicale affidato agli arrangiamenti musicali di Paolo Silvestri e alla bravura di Giua, Pietro Guarracino, Vieri Sturlini – voci e chitarre.
Una messinscena dal ritmo sincopato e incisivo. Pochi elementi scenici: sedie nere, luci al neon e un telo di stoffa grezza a maglie larghe a far da fondale come una rete di pescatori pronta a raccogliere i resti di un mondo alla deriva. E quelle lucciole, piccole gocce di splendore di cui parlava Pasolini? Ci sono ancora, non si sono spente, spetta a noi capire come. Basta che la nostra coscienza critica non si addormenti. Mai.