Prima fila, età media: sei anni. Bambini sghignazzanti e sovreccitati che smaniano per assistere allo spettacolo. Un tavolo di legno: siamo forse in cucina?
Entrano in scena quattro attori: tenute da cuoco, buste della spesa… che Sandokan è mai questo? Sul legno (divertiamoci con giochi di parole – gli assi della nave si proiettano su quel tavolo così comune mediante la narr-azione) si svolgono sanguinose battaglie culinarie. I quattro (Gabriele Carli, Giulia Gallo, Enzo Illiano e Giovanni Guerrieri) espongono le gesta della valorosa Tigre della Malesia, ma il puro racconto è secondario rispetto all’effettiva azione scenica. La stessa voce narrante (incarnata alternativamente dai diversi attori) non è del tutto complementare all’azione: è senza dubbio esplicativa, ma secondaria, al punto che, nel caotico sferragliar di posate e nel saltare in aria di pezzi delle più svariate verdure, della voce talvolta si perde il significato, benché ciò non disturbi affatto.
Nella varietà cromatica, sonora e olfattiva che va costruendosi, e che si fa sempre più sregolata, s’innalzano risate e stridule voci infantili, tanto che, dal momento in cui le risa non possono controllarsi e le verdure debordano nello spazio scenico, i bambini si lanciano all’assalto, irrompono e si esaltano: nessun genitore può adesso avvalersi del monito «non si gioca con il cibo», e una volta tanto si può assistere al lancio di quel quasi sacro mangiare che – insegna la mamma – non andrebbe sprecato.
I cadaveri dei “caduti” vengono sottratti al campo da piccole mani apparentemente innocenti. L’irruzione si integra nello spettacolo: gli artisti riescono a provocare nuove esplosioni di risa uscendo per qualche istante dalla finzione, danzando tra i diversi piani dell’azione scenica senza perderne il filo.
Bambini che giocano, cibo che salta e risate, il tutto all’interno della Rassegna Teatro Ragazzi dello Scompiglio: non stiamo parlando di uno spettacolo per bambini e, anzi, le citazioni, talvolta letterali, sono apprezzabili soprattutto da chi conosca Sandokan e, meglio ancora, abbia letto Le Tigri di Mompracem. Parliamo di un tipo di teatro universalmente fruibile, che permette la “stratificazione” del pubblico, per cui la performance, come di consueto con i Sacchi di Sabbia, agisce sui vari livelli in modo diverso (un lettore certamente coglierà citazioni che altri troveranno irrilevanti, conoscendo a malapena la storia, o avendola magari acquisita grazie allo sceneggiato televisivo).
Insomma, nel caotico rumoreggiare, ridere, sgranocchiare carote abbandonate, e comunque seguire il filo di una storia certo non troppo complessa ma pur sempre ricca di nomi e dettagli, si è finiti – almeno in questa peculiare situazione – per far completamente parte dello spettacolo, mentre la flebile quarta parete non faceva che incrinarsi e disciogliersi, per solidificarsi ancora.