Veronika Voss, la protagonista dell’omonimo film di R. W. Fassbinder, torna in vita in Ti regalo la mia morte, Veronika del regista Antonio Latella, a raccontare le ombre e le inquietudini della propria mente avvelenata dalla morfina.
«Aiutatemi! Aiutatemi! Non è una domanda». Questa supplica viene rivolta direttamente al pubblico, quando le luci in sala sono ancora accese e il sipario già alzato, trascinandolo con forza e prima del previsto nella sospensione dell’incredulità. È una donna quella che ci chiede aiuto? È l’attrice Monica Piseddu? O è il personaggio di Veronika Voss a parlare?
La pièce è un labirinto di specchi, dove attore e personaggio si rincorrono: Monica recita Veronika, attrice di film a sua volta; cinema e teatro s’intrecciano e si sdoppiano in continui reciproci riferimenti. A separare la platea dal palco, i binari di una cinepresa, confine labile tra realtà e spazio diegetico. Il pubblico non vede il film: si crea il proprio film. Come il personaggio di Norma Desmond in Sunset Boulevard, la Voss è una diva dimenticata, rovinata da Hollywood, intrappolata nel ricordo nostalgico dei suoi tempi d’oro. Il modo più veloce per affrontare il dolore è la droga della dottoressa Katz, ma la vera carnefice di sé è lei, l’attrice stessa. L’allestimento diviene dunque il viaggio nell’alterazione totale, nella mente morfinofila di Veronika, infestata da scimmioni albini, ombre, cori, voci disturbanti. Il coro detta il ritmo della scena, rigoroso come la partitura di uno spartito. Sono proprio le voci a trasformare la scena: dalla radiocronaca di una corsa di cavalli alla musica classica di sottofondo di un elegante ristorante.
Lo spazio scenico è essenziale: una fila di sedie che ricorda quella di una sala di cinematografo, invasa dagli scimmioni bianchi, mentre sullo sfondo prende vita un teatro di ombre grazie al trio di ombristi alTREtracce, omaggio a uno dei più antichi esempi di precinema. La sfida di assemblare immagini di fronte ai nostri occhi, rendendole riconoscibili solo dopo aver posato l’ultimo tassello del puzzle, è stata vinta.
Dopo Le lacrime amare di Petra Von Kant, Latella riattinge dall’universo fassbinderiano un personaggio potente come Veronika, donna segnata dal disagio psichico. La sua mente è così fragile che è destinata ad andare in frantumi come un vaso, le cui schegge colpiscono tutti i personaggi che vi entrano in contatto: l’amante impossibile Robert Krohn (Annibale Pavone), la struggente fidanzata di lui Henriette (Valentina Acca), la giornalista Grete (Caterina Carpio), la rigida dottoressa (Estelle Franco) e la sua assistente (Nicole Kehrberger), l’ebreo (Fabio Pasquini) e la voce poliforme (Maurizio Rippa) fuoriescono dalla crisalide dello scimmione.
Paradossalmente, in Ti regalo la mia morte, Veronika, l’attrice non muore, perché destinata all’immortalità nell’Olimpo delle grandi eroine del cinema di Fassbinder: Maria, Margot, Emma, Elvira, Martha. Latella le richiama tutte nell’ottocentesco quadro finale: un paradiso cechoviano che chiude lo spettacolo con eleganza, stupore e regala un finale romantico seppur dolceamaro.
(di Elisa Bertoncini)