Con Piccole emozioni – Giocando con l’amico immaginario si chiude il Lucca Teatro Festival 2016, almeno per quanto riguarda l’arborato cerchio: l’ultima giornata, dedicata a debutti e anteprime, si svolgerà a Porcari. Il Teatro San Girolamo (che, non ci stancheremo mai di ripeterlo, teatro non è, consistendo, per com’è strutturato attualmente, in una sala ostica dal punto di vista sia visivo sia acustico) è affollato di infide creature emerse da un mondo oscuro e umido: bambini. Lo spettacolo, infatti, è indirizzato alla fascia 3-7 anni in modo, forse, sin troppo esclusivo.
Due personaggi in scena: Vera (Valentina Grigò) e il suo amico immaginario Costantino (Costantino Buttitta); in arancione una, in verde l’altro. Lei si presenta subito come una “spiegatutto” e, in tono un po’ petulante, definisce subito la differenza tra vero e finto. Costantino è, in un certo senso, reale perché lei lo può toccare: passano le giornate a giocare insieme, inventando – per sfidare la noia – ora un mostro, ora un gioco con i raggi di sole. I due si muovono, in pigiama, all’interno di una scenografia dal colore neutro e rassicurante: un fondale giallino con un paio di disegni geometrici. Sulla destra, una ruota di bicicletta; sulla sinistra, una chitarra. Costantino improvviserà spesso semplici canzoncine in cui prende in giro le frasi fatte degli adulti.
I due attori in scena parlano in modo trasognato, sempre entusiasti di tutto: insomma, il tipico linguaggio (verbale e corporeo) che “si presume” appartenga ai bambini, col rischio di confonderli con un cliché, la loro rappresentazione televisiva. Vero è che, nel finale, si scopre come il personaggio di Vèra (e molte sue espressioni) tragga ispirazione da una bambina véra: probabilmente parte del progetto, coordinato da Donatella Diamanti, con le scuole dell’infanzia Il Girotondo e Gianburrasca del Comune di Cascina (PI). Quello che ne esce, però, è una caricatura dell’infanzia, un’immagine artefatta che, per fortuna, non corrisponde al vero. Gli attori giocano a fare i bambini, come se per parlare con il loro pubblico fosse necessario incasellarli in uno stereotipo.
Il target di pubblico è molto basso (90-120 centimetri): facile, per un certo verso, da coinvolgere. Con un paio di canzoncine e le bolle di sapone restano affascinati e già la premessa di una gita fuori dalle mura scolastiche li elettrizza. Se si prendono di pancia, però, è più difficile guidarli nel percorso di uno spettacolo che non vorrebbe solo intrattenerli tra un cartone e l’altro. I bambini, infatti, dopo un po’ non li seguono più nei repentini cambi di registro (molto frequenti): dalla paura al momento musicale, dallo stupore alla presa in giro dei “grandi in piedi e seduti“, il rapporto col pubblico è compromesso. I bambini ridono anche quando non dovrebbero, avvertendo che tutto ciò che accade in scena è una farsa clownesca.