Platonov è il titolo postumo attribuito al dramma che Cechov aveva composto in giovane età senza poi portarlo a compimento. Nella riscrittura di Marco Lorenzi e Lorenzo De Iacovo, la volontà di rottura della quarta parete si coglie entrando in sala, dove due attori porgono ai convenuti un vassoio di bicchierini di vodka, col resto della compagnia sul palco a sipario alzato.
Il gruppo Il Mulino di Amleto rilegge la frammentarietà del testo originale dando risalto alle vicende del gruppo di amici e conoscenti di Platonov (Michele Sinisi) invitati nella tenuta di Anna Petrovna (Roberta Calia). I nove personaggi si muovono e bevono attorno a un grande tavolo parallelo al proscenio, mentre lo spazio retrostante è delimitato da una sorta di separé/vetrata che, durante il corso della vicenda, verrà spostato all’occorrenza dando vita a diverse configurazioni sceniche.
L’atmosfera inizialmente festosa e conviviale presto si sgretola per lasciare spazio alle relazioni personali, all’intreccio di non detti e trascorsi segreti tra i personaggi, in un crescendo recitativo quasi sempre sopra le righe. Presentazione dei caratteri e svelamento delle varie dinamiche interpersonali occupano i primi due atti, con ritmi e tempi accelerati, quasi nell’urgenza di definire quella che si rivelerà essere una tipica storia di sotterfugi, tradimenti e inganni.
Se, in questa prima parte, l’ostentata rapidità rischia di essere la nota principale del costrutto scenico, la situazione evolve con il passaggio al terzo atto. Sono passate circa due settimane e l’azione si svolge nella scuola elementare dove Platonov insegna e in cui si è barricato dopo essere stato abbandonato dalla moglie, in seguito all’ennesimo tradimento. L’atmosfera caotica dei primi atti si allenta, il tavolo centrale sparisce tuttavia resta la quinta, ora vero centro mobile della scena e intermediario degli amori di Platonov.
L’azione corale è sostituita da dialoghi a due, dai quali emergono la continua tensione tra la volontà dei personaggi e la realtà che frustra i loro desideri, ma anche l’incapacità di vivere l’amore senza incappare in illusioni e delusioni. In questa maggiore distensione scenica hanno la possibilità di avere più risalto soluzioni di regia che coinvolgono l’azione degli interpreti attorno alla quinta mobile che acquista mobilità e significato, ora separando ora avvicinando i protagonisti, ma sempre contenendo e delimitando i loro sentimenti.
La conclusione riprende il motivo metateatrale dell’incipit, mai del tutto abbandonato nel corso del lavoro, tra incursioni in platea e riflettori a vista. Il quarto e ultimo atto non è, infatti, rappresentato, bensì raccontato da Osip (Yuri D’Agostino) che, circondato dal resto del cast, spiega al pubblico come «normalmente» si chiuderebbe il dramma. «Normalmente» Platonov dovrebbe morire, ucciso da un colpo di pistola sparato da una delle donne che ha amato, «ma non questa sera».
La lacerazione esistente tra vivere come si vive e vivere come si potrebbe è l’asse portante del dramma e l’adattamento di Lorenzi-De Iacovo pare suggerire che il tentativo di realizzare qualcosa di migliore non è solo ridotto a una speranza ma si concretizza nella vita stessa, che, fino a che è tale, si configura come potenzialità non necessariamente destinata al fallimento. Tale tensione drammatica evidenziata dal finale metateatrale eleva l’operazione drammaturgica, risollevandola da un inizio non troppo convincente.