Un panorama suburbano domina la scena: la sgrammaticatura graffittara macchia arredi in simil cemento disseminati qua e là. Un uomo-marionetta in giallo (Mariano Nieddu) declama meccanico la presentazione di ALFA. Appunti sulla questione maschile, titolo tra i più attesi della rassegna Assemblaggi Provvisori. Gesti aguzzi, mani a paletta, sguardo robotico. Scandisce, con fissità metronomica, riflessioni paradossali, condivisibili: “Guardandosi intorno viene spontaneo pensare che essere un ultra cinquantenne maschio eterosessuale bianco europeo, di religione cristiana, ragionevolmente sano, sportivo, istruito, con prole sana e adulta, professionalmente piuttosto realizzato e senza eccessivi problemi economici, non sia esattamente una condizione svantaggiata, soprattutto se si considera la quantità di rotture di coglioni, discriminazioni, vessazioni e violenze che rischiano, e spesso subiscono, ad opera della mia categoria sociale tutti quelli che non corrispondono anche solo ad uno dei requisiti di cui sopra“. I gesti vengono doppiati da quelli d’una danzatrice (Alessandra Moretti), eco visuale per una partitura di comico automatismo, quasi rimando al Peter Sellers sul finale di Il dottor Stranamore. Risate.
È solo il preludio per una serie di azioni tra il dissennato e l’improbabile: tre sensuali coriste (svetta, pure vocalmente, Ilenia Romano) cicaleggiano dietro i microfoni, accompagnando un compassatissimo Roberto Castello versione rockstar, occhiali scuri e copricapo variopinto, che arringa la folla. Si slitta sull’improvvisazione vocale, e un’estenuante sequenza di gestualità inconsulte strappando nuove risa al pubblico ormai complice del peculiare gioco performativo.
Affiorano elementi consolidati del repertorio castelliano: l’inumanità forzata di In girum, l’irresistibile coreo-cabaret del Trattato di economia (leggete qua), pure scampoli di titoli lontani (l’acuminatissimo Carne trita o l’apocalittico Nel disastro), parodie da action movie di arti marziali. Non sono autocitazioni, ma riutilizzo efficace di colori sperimentati su altre tavolozze, traduzione concreta di quanto partorito in una mai banale riflessione su uomo e società. Qui si misurano parimenti audacia e limiti delle opere di Castello: la caparbia urgenza di misurarsi col reale senza incappar, col rischio anche qui in agguato, nella pastoia d’un messaggio palesato in eccesso. Che resta, per fortuna, legato al gioco delle forme, facendosi discorso scenico senza permanere quale dichiarazione d’intenti.
Nella disinvoltura d’un linguaggio stratificato e opulento ai limiti del carnevalesco, ALFA è un discorso, a tratti pure sovraccarico, sul desiderio, l’identità e il potere, più che sulla questione maschile in sé, ammessa e non concessa la stagna separazione di simili concetti. Così, Francesca Zaccaria assume toni e bionde fattezze da vamp per rimarcare, non celando lacerti di nudità, come il regista le abbia “imposto” un ruolo sulla base d’una gerarchizzazione di genere: finzione e realtà si sovrappongono e mescolano al punto da elidersi/eludersi reciprocamente. Non sarà l’unico cortocircuito, se si considera come le “creature” produttive di Castello, SPAM! e ALDES, siano difatti realtà ad altissima densità muliebre, pur con una carismatica leadership di genere opposto.
Nel frattanto, uno spaesato, laterale Nieddu s’ostina nell’intermittente/interminabile elenco numerato delle qualità “richieste” a un uomo da parte d’una società che Castello sembra suggerire fotta i maschi non meno (semmai in altro modo) delle vessatissime femmine. Ed è, questa, una delle sequenze-refrain tra le meglio assestate, nell’insinuare quanto disagio possa addensarsi anche nella condizione virile, in quel dover essere, limaccioso e sfibrante, che spinge, chi più chi meno, nei tristi e spesso involontariamente ridicolosi dintorni d’una forzata mascolinità.
Applausi convinti, anche da noi maschi omega.