La cattiva compagnia presenta al Lucca Teatro Festival il suo secondo spettacolo per ragazzi: dopo Il berretto a sonagli (qui la nostra recensione), è la volta di I fisici su testo di Friedrich Dürrenmatt. Il sipario del Teatro San Girolamo è stranamente chiuso: in sala ci sono studenti delle scuole superiori lucchesi. Siamo subito proiettati nella casa di cura Les Cerisièrs: sul fondo, quattro figure di infermieri, illuminate da una luce blu; al centro, perpendicolare al proscenio, un uomo è disteso su un tavolo. Si siede, si presenta a noi che lo guardiamo: è Möbius, fisico nucleare di grande fama, internato da anni in un ospedale psichiatrico. Indossa un camice, parla con lentezza e gravità, finché non ha inizio una musica sintetizzata dal ritmo incalzante: con un’elaborata coreografia cambiano scene e personaggi. Un’infermiera veste Möbius mentre gli altri si lanciano le sedie e spostano il tavolo per ricomporre un altro ambiente dell’ospedale. Segmenti del genere, di grande impatto visivo e sonoro, saranno frequenti durante tutto lo spettacolo.
Avverranno sempre così i cambi scena nella regia di Simone Lippi: piccoli dettagli (la posizione degli arredi, una tovaglia, una luce), in grado di rendere efficacemente i passaggi. Un meccanismo simile vale anche per i personaggi, che sono almeno il triplo dei cinque interpreti effettivi: ciascun attore è impegnato, come minimo, in due ruoli: a tale scopo, spesso, bastano pochi particolari, accurati, come un impermeabile e un cappello per trasformarsi da paziente a commissario di polizia. Proprio su questo aspetto s’innesta un crescente gioco di svelamenti, in cui rimane solo l’attore protagonista (Alessio Stabile) a dialogare con sé stesso, duplicato nella doppia veste di investigatore e investigato. Trovandoci in un ospedale psichiatrico, a questo punto sospettiamo che quanto abbiamo visto sia un’allucinazione di Möbius. Invece, il progressivo scollamento tra interprete e personaggio presto è destinato alla ricomposizione: era il preludio a un ulteriore svelamento, quello definitivo. I pazienti sono, in realtà, due agenti segreti (Stefano Lionetto e Gianluca Passarelli) che si erano fatti ricoverare per rubare i segreti di Möbius. La proprietaria della clinica, la dottoressa von Zahnd interpretata da Lavinia Anselmi, condivide lo stesso obiettivo, ma l’ha realizzato già da anni: lo rivela nel finale, passando dall’anonimo camice medico a un rosso vestito da sera.
Chi è pazzo? Chi è normale? Nelle prime scene, in cui la separazione tra le due categorie sembra chiara, la recitazione è paradossale: gli internati sono calmi e pacati (anche se si sta investigando sugli omicidi che hanno compiuto); i “normali”, invece, hanno accenti grotteschi, in preda a tic e strane fisse. Con il progressivo sfumare del discrimine della malattia mentale è difficile fare distinzioni sensate. Dopo il finale, diventa impossibile: si possono distinguere solo i vinti dai vincitori.