Sul fondo nero di una scenografia inesistente, si stagliano tre impersonali figure che, indossando con movimenti lenti e calcolati le vesti di suora, danno inizio allo spettacolo e al viaggio che condurrà lo spettatore nella vita di alcune monache visionarie.
La scena spoglia, gli oggetti pochi e funzionali alla narrazione: un tavolino, una sedia, un panchetto. Gli attori, Cinzia Delorenzi, Alessandra de Santis e Attilio Nicoli Cristiani, prendono subito possesso dello spazio teatrale, muovendosi sul fluire di una voce off simile a quella di una radio o un telegiornale, andando a creare delle scene che rimangono immobili fotografie per un secondo, prima di sciogliersi e andare a comporre l’immagine successiva.
Lo spazio è interamente gestito e occupato dai tre interpreti, che spostano gli oggetti presenti, modificano l’ambiente, o meglio, danno allo spettatore gli strumenti per immaginare come il contesto della raffigurazione cambi durante la narrazione e loro stessi cambiano forma e identità sulla scena.
Come lo spazio, muta il piano sonoro: le musiche, fortemente differenziate tra loro, contribuiscono alla narrazione contestualizzando l’ambientazione, ma anche accompagnando il racconto delle vite delle sante via via impersonate dagli attori. L’uso della parola è tanto raro quanto essenziale: il monologo prodotto dall’estasi, il canto. I dialoghi si costruiscono con gli sguardi, con i gesti, i movimenti di danza. Complessivamente, emerge la sensazione di essere davanti a una serie di idee e rappresentazioni giustapposte, attraverso le quali risulta difficile ricostruire l’architettura generale dello spettacolo. Si susseguono, infatti, scene di estasi, canto, ballo, apparentemente slegate tra loro. Cifra comune all’intero allestimento, l’effetto comico, che diverte lo spettatore e “umanizza” i soggetti rappresentati, suore e sante, troppo spesso costrette in stereotipi di freddezza e rigidità.
Tra pregi e difetti, una nota critica ci pare prevalere: la difficoltà di comprensione. Non emerge al meglio il lavoro di studio, raccolta di informazioni e selezione delle personalità da portare sulla scena che sta alla base dello spettacolo. Non si colgono facilmente infatti i riferimenti culturali, ma, soprattutto, risulta difficile “indovinare”, una dopo l’altra, le identità delle monache che prendono vita sul palco.
A spettacolo finito, esauriti gli applausi, dopo la reimmersione nella realtà della sala del Real Collegio, si intravedono nel pubblico, alternate, espressioni perplesse miste a sguardi entusiasti, sintomo di uno spettacolo complesso, suscettibile di numerosi livelli di lettura e di interpretazione.