Un fine settimana piacevole a Lucca con I teatri dei perché, la rassegna svoltasi nella sala convegni della Fondazione Banca del Monte in concomitanza con l’assai più articolato Festival del Volontariato. Di tre spettacoli. ne abbiamo visto (ahinoi) solo uno, risultato tanto gradito da farci dolere di non aver potuto presenziare agli altri appuntamenti proposti dalla direzione artistica di Cristina Puccinelli.
La sera di venerdì 17 aprile a calcare la scena è Carlo Luca De Ruggieri, noto a molti come lo schiavo della serie tv Boris, che non abbandona il ruolo dello sfigato cronico, ma lo rinnova qui in una declinazione più dinamica ed espressiva; complici gli occhiali, De Ruggieri ricorda il più classico dei Woody Allen e assurge, da personaggio secondario quale lo conoscevamo, a protagonista incontrastato di un racconto autobiografico sui generis scritto con arguzia da Giacomo Ciarrapico (a sua volta sceneggiatore della già citata sitcom).
L’allestimento originario è, in questa temporanea sede, ridotto a una sedia e a un cumulo di giornali più ornamentale che funzionale, a confermare tuttavia l’assoluta centralità del testo. Lo stesso avviene con i brevissimi interventi di musica registrata del bravo Giuliano Taviani, nello scandire il racconto a mo’ di punteggiatura, facendo affiorare la voglia di un ascolto più approfondito.
«Per lungo tempo, io sono stato il risultato di un errore di lotta e di governo»: questo l’incipit di un monologo interamente trasposto in metafora, nel quale il personaggio si racconta attraverso le vicende e i conflitti del proprio «paese interno», vera e propria nazione con i suoi cittadini, le sue istituzioni e i suoi organi di rappresentanza. In stato di perenne subbuglio: l’io del protagonista è un coro frammentato di voci dissonanti, alle prese con un’infinità di partiti e partitucoli (tra questi, memorabile il Partito del Suicidio, che a ogni legislatura non manca di esser rappresentato in Parlamento). Il Presidente del Consiglio è una banderuola in balia del vento, in perenne oscillazione tra le istanze sempre nuove avanzate da decine di ministri: quello degli Esteri, incaricato dei rapporti con gli altri; quello della Salute, in genere poco ascoltato; il ministro della Famiglia, delle Finanze, della Cultura, e infine quello dell’Amore.
La vicenda ruota, per l’appunto, attorno a una delusione sentimentale. Ma si tratta di un filo narrativo sottile. L’intento esplicito è quello di una facile immedesimazione del pubblico in dinamiche di ordinaria auto-amministrazione, permettendo all’autore di parlare di politica come di un’attività che non può prescindere dalle proprie origini umane. Il tracciato, così, è quello di un paese diviso e incapace di agire, che in tempi di crisi si affida a governi tecnici e che va avanti per provvedimenti d’urgenza più che con pianificati interventi di prevenzione.
L’allusione alla situazione nazionale è evidente. Ma il testo, scritto ad arte, pare decisamente più destinato all’intrattenimento che mosso da una reale necessità di critica al sistema; la densa ironia che lo informa, unita ai ritmi ben cadenzati dell’interpretazione di De Ruggieri, regala un pezzo dall’innegabile forza comica e dai toni leggeri, che si conclude, come una favola, con un insegnamento: il nostro equilibrio è dinamico, e per raggiungerlo si richiede un impegno costante.