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Società cannibale: ieri Pasolini, oggi Binasco

Sguardazzo/recensione di "Porcile"

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Cosa: Porcile
Chi: Mauro Malinverno, Alvia Reale, Francesco Borchi, Elisa Cecilia Langone, Franco Ravera, Fulvio Cauteruccio, Fabio Mascagni, Pietro d’Elia, Valerio Binasco

Dove: Prato, Teatro Metastasio
Quando: 5/11/2015
Per quanto: 120 minuti

Recensione/sguardazzo su “Porcile”, di Pier Paolo Pasolini, regia di Valerio Binasco, visto a Prato (Teatro Metastasio).

Il profondo disagio delle persone nel manifestare i propri sentimenti, nell’entrare in intimità con gli altri. L’instabilità, la fragilità e l’incomunicabilità nelle relazioni umane, soprattutto quelle familiari, amorose. Tematiche forti del dramma borghese dei giorni nostri. Valerio Binasco affronta simile retroterra, quello delle intricate relazioni interpersonali fra i personaggi del Porcile di Pasolini, per sollecitare i nervi scoperti della contemporaneità; più da dramma psicologico che estetizzante o politico. L’intento è chiaro: gettare nuova luce su dinamiche sociali quasi cannibalistiche, espresse da Pasolini con la metafora del letamaio, che dal secondo dopoguerra a oggi, non sono mai cambiate, anzi, sono ancor più fagocitanti e oppressive.

Forse meno nota di quella cinematografica del 1969, la versione teatrale di Porcile (1965), riletta oggi da Binasco in tutti i suoi aspetti tipici del dramma borghese alla Tennessee Williams, è la storia familiare dei Klotz. Le vicende private di una ricca coppia d’industriali tedeschi sono raccontate cinicamente dal poeta-drammaturgo attraverso il progressivo fallimento di una confusionale, contradittoria e conflittuale genitorialità con il venticinquenne Julian, figlio stralunato, che “non ubbidisce, né disubbidisce”, ma che si condanna sommariamente ad un auto-martirio per un amore inconfessabile (e mai confessato) sfociato in pulsioni sessuali svolte all’interno di un porcile.

Pasolini-Binasco, Porcile, Prato 01Il regista compie un’operazione drammaturgica coerente con le sue intenzioni, eliminando dal testo la scena nella quale compare il filosofo Spinoza, che offre allo spettatore la chiave di lettura pasoliniana della vicenda. Si elude tutto ciò che, nel testo, vira verso lo straniamento dello spettatore, voluto da Pasolini per tutte le implicazioni politiche e filosofiche insite nella piéce, più forti dell’istanza narrativa di raccontare un dramma familiare. La paura d’amare del giovane Julian, soffocato dall’affetto maldestro dei genitori e incapace di mostrarsi agli altri per la certezza d’essere rifiutato per ciò che egli è realmente, non solo a causa delle proprie imbarazzanti pulsioni. Il suo disagio è simile a quello del Sebastian di Williams in Improvvisamente l’estate scorsa, anch’egli rimasto ucciso in circostanze simili: giovane, chiuso in sé stesso, circondato da una ricca e ipocrita famiglia borghese, schiavo del senso di colpa per il proprio orientamento sessuale.

Pasolini-Binasco, Porcile, Prato 04Il dichiarato scopo del regista è di difficile esecuzione: infondere ritmo a un testo che, di per sé, è più sfilacciato e frammentario di come dovrebbe essere, al fine di immergere lo spettatore nel profondo della storia familiare dei Klotz. Per la maggioranza del tempo, siamo in un altro giardino, raffigurato con un’imponente olografia da Lorenzo Banci, che rende la scena al contempo sia spoglia sia adorna. Un ambiente rarefatto, troppo imponente, rende più difficile la creazione di un’atmosfera d’intimità fra attori e pubblico. Basti ricordare la scenografia cubica disegnata da Mario Ceroli per il primo allestimento dell’Orgia pasoliniana (1968), in uno spazio quasi claustrofobico che consentiva maggior vicinanza, anche emotiva, fra attori e pubblico.
Tuttavia, Binasco, buon direttore d’attori, riesce a inquadrare al meglio ogni personaggio sfruttando la sciente e fluida recitazione degli attori di compagnia del teatro stabile toscano: convincenti, ciascuno esce dagli schemi di una “naturale” predisposizione a un antico sistema dei ruoli, che in altri allestimenti pratesi era consuetudine individuare. Salvo un’inevitabile digressione centrale, il ritmo dello spettacolo trasporta amaramente lo spettatore verso ciò che ancora oggi rappresenta: il porcile a cannibalizzare la nostra società.

Pasolini-Binasco, Porcile, Prato 02

VERDETTAZZO

Perché:
Se fosse... un ninnolo sarebbe... un carillon

Locandina dello spettacolo



Titolo: Porcile

di Pier Paolo Pasolini
regia Valerio Binasco
scene Lorenzo Banci
costumi Sandra Cardini
musiche Arturo Annecchino
luci Roberto Innocenti
con Mauro Malinverno, Valentina Banci, Francesco Borchi, Elisa Cecilia Langone, Franco Ravera, Fulvio Cauteruccio, Fabio Mascagni, Pietro d’Elia
produzione Teatro Metastasio Stabile della Toscana / Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia
con la collaborazione di Spoleto58 Festival dei 2Mondi


Porcile è un dramma in undici episodi che Pasolini ha scritto nel 1966 e che poi, nel 1969, ha trasposto nel film omonimo per raccontare l'impossibilità di vivere secondo le proprie coordinate, i propri istinti, preservando l’intima natura di se stessi dal mondo cannibale. "In Porcile la trama si sviluppa nella Germania del dopo nazismo, nel momento in cui la borghesia con il suo modo globalizzante di intendere la democrazia ha preso il Potere e lo gestisce. Julian, figlio «né ubbidiente né disubbidiente» di una coppia della borghesia tedesca, trova nel porcile paterno un amore 'diverso' e 'non naturale' che, tuttavia, lui riconosce come scintilla di «vita pura». La passione misteriosa che segna il personaggio fin dal suo ingresso diviene simbolo del disagio di chi non si riconosce nella società coeva, e si rifugia in qualcosa di istintuale ma segreto. Porcile non fa prigionieri. Condanna tutti, dal primo all'ultimo. Non c'è redenzione, non c'è possibilità di salvezza in questo mondo soggiogato in modo, oramai, antropologico. Non c'è speranza in questo porcile dove tutti mangiano tutto, dove il solo deve essere il tutto". (Valerio Binasco) Recensioni: Società cannibale: ieri Pasolini, oggi Binasco

Francesco Tomei
Autoironico gemello diverso (da quello serioso accademico), nasce sui monti di Barga, è laureato (due volte) nonché organizzatore teatrale. Approda a LSDA nel bel mezzo d’una metamorfosi da Pulcinella in dottore di ricerca. Si divide fra critica, canzoni (da scrivere) e archivio (da contemplare).