Era il 1983 quando la Compagnia Krypton presentò Eneide, il rivoluzionario spettacolo di Giancarlo Cauteruccio che portò la formazione fiorentina all’attenzione del pubblico. Dopo pochi mesi di tournée, a dicembre, il lavoro andava in scena al Teatro Verdi di Pisa, in una serata di dicembre. Una sera di dicembre, esattamente trentadue anni dopo, lo ritroviamo nello stesso teatro. La ripresa a distanza d’anni è avvenuta a grande richiesta, nell’interpretazione più stringente dell’espressione: l’operazione è stata finanziata da moltissimi spettatori tramite il crowdfunding. Paradossalmente, però, la sala pisana è semivuota: visione inedita per uno spazio in cui i sold out sono abbastanza frequenti.
Al centro della scena, a bordo di una nave stilizzata, stanno Antonio Aiazzi, Gianni Maroccolo e Francesco Magnelli, storici membri dei Litfiba: la band fiorentina debuttò in senso discografico proprio con la colonna sonora di questo spettacolo. Durante tutta la performance i tre rimangono immobili, celati in gran parte dietro grossi scudi da opliti che lasciano solo intravedere gli strumenti, in una disposizione à la Kraftwerk.
Prima si sente la voce, poi appare anche il corpo di Cauteruccio: una silhoutte tozza che si aggira sul palcoscenico, declamando il poema virgiliano dal microfono che porta al collo. Il ritmo della recitazione, l’intensità variabile, la puntualità degli effetti audio in diretta: tutto è talmente perfetto da far pensare a una registrazione in studio.
L’aspetto più interessante del lavoro è senza dubbio l’uso della tecnologia. Il palco è chiuso per tre lati da schermi su cui un proiettore spara immagini futuristiche: prospetti di navi in grafica 3D, guerrieri greci in movimento, griglie cilestrine. Quell’idea di futuro è sicuramente un po’ datata, il mapping della proiezione – che delinea la trireme in scena – è accuratissimo. Dallo scudo centrale hanno origine fasci laser colorati, diretti – senza troppo riguardo per le retine dei presenti – sulla sala del teatro all’italiana già invasa dal fumo. L’intervento più originale è il primo, in cui due bande laser orizzontali e parallele simulano con grande suggestione il cielo e il mare: successivamente si tratterà soprattutto di interventi pressoché casuali a ritmo della musica. Ci sono tre corpi fisicamente in scena, ma non li troviamo indicati in locandina: non parlano mai, svolgono azioni standardizzate e ripetute, in un loop che riecheggia quello sonoro. Enea ha un’armatura chiara e una lancia lucente in stile videogame.
Eneide fa il paio, idealmente, con Iliade del Teatro del Carretto, riallestimento di uno spettacolo del 1988, anche quello passato da Pisa alla fine degli anni ’80 e poi riproposto la stagione scorsa. In entrambi si individua la centralità della parola narrata, a scapito di personaggi che spesso sono anonimi guerrieri: gli approcci estetici sono, però lontanissimi. Se Eneide punta(va) tutto sulla tecnologia, il Teatro del Carretto ha un approccio artigianale al mito, costruendone (letteralmente) la complessità. La tecnologia avanza e i laser invecchiano più del legno, a quanto pare.
Lo spettacolo-concerto è allucinatorio: luci, musica, decibel, proiezioni e corpi in scena creano un organismo denso e complesso, giocato su molti piani espressivi che ora si intersecano, ora si alternano. Anche la narrazione è un elemento al pari degli altri: quando usciamo dal teatro non sappiamo niente di più su Eneide di quando siamo entrati, ma abbiamo compiuto un viaggio assieme al suo protagonista. Un viaggio che in qualche modo, però, non riesce a distrarci dalla preoccupazione per una macchina parcheggiata (complici la fretta e il ritardo) in divieto di sosta.