«Il cinema popolare? Meglio popolare il cinema» annunciava, trent’anni or sono, un Benigni ancor vivo, a proposito di uno dei suoi più peculiari successi in sala, Tuttobenigni (Giuseppe Bertolucci, 1983). Lisciami, firmato e realizzato da Andrea Kaemmerle, clown lunare e implacabile organizzatore scenico (sua l’Utopia del buongusto che anima da anni le estati della provincia toscana così come la gestione del Teatro delle Sfide a Bientina), in combutta col duo musical-vernacolare pisano dei Gatti Mezzi ci ha fatto, per varie questioni, rammentar tale battuta.
Sarà per la calca stipata nella stretta sala del Lux, sarà, soprattutto, per l’eterogenea composizione d’un pubblico che non usiamo incrociare nelle consuete ronde teatrali cui ci concediamo: facce d’ogni età, lieve prevalenza agée, abbigliamento casual, per una frizzante atmosfera d’ilare attesa. Non ci sorprende: in patria, i Gatti son quasi stelle, indulgendo appoggiati, con qualche malizia, su stilemi non propriamente a rischio elevato. La sala, difatti, è colma. Uno a zero per Kaemmerle e i felini bagnati.
Lisciami è una farsaccia, lo diciamo col sorriso stampatoci in volto, perdurato svariati minuti e riportato a fresco dall’esercizio mnemonico che è lo scriverne: una farsaccia conscia di sé, forte delle qualità del genere, anche nei suoi snodi più prevedibili. Del resto, in un simile gioco, tutto ruota sul ritmo: conta l’esecutio ben più che l’originalità della trovata e, in questo senso, Kaemmerle è ben rodato, sia da autore sia da capocomico. Lo sguardo è sul mondo del lissio: balere, sale scalcinate, quelle in cui un’umanità tanto ordinaria quanto caotica si dà convegno per l’evasione settimanale. Sagre, feste di paese, giacchette lise e risvolte ai pantaloni, vestiti a festa coi panni che si ha: il tutto, visto dall’altra parte, quella di musici ancor più scalcinati, felliniani fool con l’ansia di mettere assieme pranzo e cena.
Trama esilina, spoglia come l’inesistente scenografia: il punto è altrove, oltre la storia della famiglia d’arte (!) impegnata nel dar spettacolo, babbo capo e impresario, figli musicisti aspiranti a ben più che le mazurke o gli struscioni che tanto mandano in sollucchero il gentile pubblico. Si ride, e neanche poco: più per un Kaemmerle davvero monnesco, senza sospettar indebite citazioni, ché col compianto Carlo, l’attore ha lavorato per oltre vent’anni, oltre al dettaglio d’un testo (immutato nelle repliche) scritto ormai molto tempo prima della scomparsa dell’artista di Champs sur le Bisence. I Gatti non sfigurano, giocano da stelle, ma finiscono per recitar da spalla, per quel meccanismo, violento e ineluttabile, che è il rovesciamento dei rapporti di forza (vis, appunto) comica.
Un’oretta e mezza di gag, alcune fulminanti, altre telefonate, per l’immersione in un immaginario che esiste ancora, benché a distanza siderale dalle tavole teatrali, così spesso avvitate su sé stesse. Il merito maggiore di Lisciami è che non ci fa: evita d’intellettualizzarsi, gabellarsi per quel che non è, acquisendo, dunque, una profondità ben più cogente rispetto a quelle ostentate, magari messe al riparo confortevole delle sonore supercazzole che ci troviamo sovente a fronteggiare. Certo, questo non è IL teatro, né tutto il teatro: Kaemmerle lo sa bene, pure meglio di noi, e, gliene siamo grati, non bara.