Il cielo stellato e qualche nube accompagnano lo spettatore di fronte alla straniante scenografia del primo atto di Tosca. Mimmo Paladino, artista contemporaneo esponente della transavanguardia, ha voluto solo tre elementi essenziali per la Basilica di S.Andrea della Valle: la pala d’altare, l’ingresso della cappella Attavanti sovrastata dai simboli del calice e della croce, e (forse) un’acquasantiera, un solo blocco geometrico. Tutto è realizzato come in pietra senza la presenza del colore e con soluzione di continuità: allo spettatore è chiesto di richiamare alla memoria gli elementi figurativi assenti. Non meno incisivo l’uso della luce, opera di Cesare Accetta, che contribuisce a scolpire e delimitare — con un’interessante taglio in diagonale — gli spazi della scena. L’Orchestra del Festival di Puccini, diretta da Valerio Galli, introduce e guida lo spettatore lungo il percorso della narrazione. Evidente una drammaticità distaccata voluta dalla regia di Giorgio Ferrara, in cui gli stessi personaggi sembrano inizialmente assistere al dramma.
L’evaso Angelotti (Davide Procaccini) cerca rifugio nella cappella di famiglia dove la sorella aveva in precedenza nascosto il necessario per la fuga. Il pittore Cavaradossi (Mirko Matarazzo, che sostituisce l’annunciato Fabio Armiliato), intento a dipingere, scorge Angelotti e ne condivide gli ideali politici, ma è anche legato alla bella Tosca (Daniela Dessì), a cui cerca di nascondere il pericoloso intrigo. Scarpia (Alberto Mastromarino), le cui infime passioni mirano a ripristinare l’ordine, vuole annientare i nemici, ma vuole anche possedere la donna. Quest’ultima, colma di una gelosia quasi shakespeariana, sarà usata per condurre la vicenda verso esiti infausti. Molto suggestivo lo sfondo corale del Te Deum che segna la fine del primo atto quando l’intento dell’antagonista è ormai chiaro.
La tensione emotiva del secondo atto è già chiara con il salone di Palazzo Farnese delimitato da tre imponenti pannelli decorati da linee asimmetriche rosso sangue su sfondo grigio, quelli laterali sono cosparsi di ritratti di ricercati, rievocando le moderne strategie investigative. La “forza” arresta Cavaradossi seguendo la donna che dopo non riesce a sopportare il tormento inflitto all’amato durante l’interrogatorio sotto tortura. Ella confessa confidando nella pietà di Scarpia e decide di concedersi strappando la promessa di una falsa esecuzione, ma poco dopo ripagherà il perfido con la morte. Dessì, in un ricco abito bianco quasi nuziale, esprime tutta la disperazione del personaggio per l’immeritata sorte nell’aria Vissi d’arte, raggiungendo l’apice nel momento dell’omicidio.
La scena dell’ultimo atto, con un grosso disco puntellato da accenni luminescenti, porta il cielo sul palcoscenico diviso in due livelli: la parte anteriore bassa, terrazzo del patibolo, con dei mattoni sulla sinistra e l’accesso di una scala non visibile sulla destra e la parte posteriore alta su cui verrà posizionato il plotone d’esecuzione, con una linea di luce che sembra avere origine dalla superficie. Ogni spettatore è il condannato, dopo il canto che accompagna gli ultimi attimi della così tanto amata vita. I soldati armati verranno disposti frontalmente rispetto al pubblico, mentre Cavaradossi volgerà le spalle in primo piano. Tosca illude e si illude su un futuro ancora possibile che presto sarà infranto dalla realtà della morte e quando il cadavere dell’amato giace, il cielo si squarcia e rende visibile una scala che la donna sale per togliersi la vita. Il percorso voluto per lo spettatore è graduale: lo straniamento iniziale lascia il posto a un ruolo da protagonista nella scena finale quando, sovrapponendosi al condannato, sente di non potersi sottrarre alla crudele sorte.