Tutti gli sguardi su Castellucci

Sguardazzo/recensione di "Schwanengesang D744"

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Cosa: Schwanengesang D744
Chi: Valerie Dreville, Kerstin Avemo, Romeo Castellucci
Dove: Prato, Teatro Metastasio
Quando: 30/10/2015
Per quanto: 60 minuti

Sarebbe stato bello aver fatto un piccolo censimento di quante persone fossero presenti per Schubert e quante per il nome di Romeo Castellucci. In un qualsiasi teatro di prosa italiano i più avrebbero tifato per il compositore austriaco; al Teatro Metastasio di Prato, invece, la maggior parte era lì per il nome del regista e fondatore della  Socìetas Raffaello Sanzio. Critici, attori e registi (qualche nome per fare gossip: Dario Marconcini, Roberto Bacci, Simone Nebbia, la compagnia Teatro Sotterraneo) in trepidante attesa davanti alla scatola nera per assistere alla prima, dopo il debutto al Festival di Avignone nel 2013, di Schwanengesang D744.

Palco vuoto, Alam Franco davanti al proprio pianoforte, posto a sinistra poco sotto, accompagna il soprano Kerstin Avemo: acconciatura anni Trenta, avvolta in un elegante tailleur grigio (non è quello di Camilleri, tranquilli, bensì un costume realizzato da Laura Dandoli e Sofia Tannini).
Societas Schwanengesang D744 - Christophe RAYNAUD de LAGE - 03Sul fondale è proiettata la traduzione dei Lieder, mentre in proscenio l’artista è a tal punto concentrata sul proprio canto da trasmettere pathos e sofferenza all’inerme spettatore. La lunga attesa cui Castellucci lo costringe affinché “avvenga qualcosa in scena” è estenuante, motivo per cui non appena la giovane soprano inclina leggermente la testa, esso sussulta e si anima sulla poltroncina. E, quando la protagonista volge la propria schiena al pubblico, ci sorprende il timore di un’altra mezz’ora, che sappiamo mancare al termine della performance, sia recitata interamente di spalle.

La bionda artista, lentamente, accarezza il fondale, sintetizzando in un gesto le parole intonate: “dormi, dormi fanciullo”. Al termine del canto, in proscenio giunge una fanciulla dai capelli rossi che spiccano sulla tenue veste azzurra, che diviene contrappunto dell’altra presenz. Con movimenti cadenzati, che si fanno danza, Valerie Dreville recita ad alta voce alcuni versi dell’ultimo Lied, sino a quando s’accorge di noi, dello spettatore che, indifferente, la osserva. Si sente aggredita dal nostro sguardo, usurpata della propria identità di personaggio dolente; e “inaspettatamente” reagisce. Urla contro il pubblico la propria frustrazione, il sentirsi animale in gabbia: “cosa volete da me? Cosa guardate?”
Il tutto in un italiano sporco, quasi a rimarcare l’assenza di significato di parole ripetute meccanicamente, mero pappagallo; a qualcuno scappa una risata, proprio perché non si sente colpito dalla “presunta” aggressione. La quarta parete si lacera soltanto quando l’attrice, ormai chiusa nel proprio soffrire, attrae a sé il telo che ricopre l’intero palcoscenico, come volesse vestirsi ulteriormente della finzione, della maschera teatrale.

Societas Schwanengesang D744 - Christophe RAYNAUD de LAGE_02Flash di luce, accompagnati dalle detonazioni create da Scott Gibbons, formano memorabili istantanee finchè cade dal soffitto qualcosa che l’attrice non riesce ad afferrare; non ne comprendiamo bene l’entità, la curiosità arlecchina che alberga in noi ci invita a scoprirlo e la risposta viene palesata da un video (qui link) risalente alla performance avignonese. Nel penultimo flash, l’attrice indossa una maschera dalle sembianze di diavolo: è forse un richiamo all’origine del teatro e i suoi cornuti satiri? Non lo sappiamo, ma la nostra curiosità iniziale è sopita.
Tre i personaggi in scena per Castellucci: la cantante, il suo corrispettivo attoriale e infine l’interprete. Ed è proprio come donna della scena che umilmente chiede scusa per le parole espresse, del resto è solo un’attrice.

VERDETTAZZO

Perché: Sì, oppure no
Se fosse... una merendina sarebbe... la più bella, la più grande, ma scaduta

Locandina dello spettacolo



Titolo: Schwanengesang D744

concezione e regia Romeo Castellucci musiche Franz Schubert interferenze Scott Gibbons collaborazione artistica Silvia Costa drammaturgia Christian Longchamp realizzazione dei costumi Laura Dondoli e Sofia Vannini con Valérie Dréville, Kerstin Avemo (soprano) e Alain Franco (pianista) produzione Socìetas Raffaello Sanzio coproduzione Festival d’Avignon, La Monnaie/De Munt (Bruxelles) "Personne qui comprenne la douleur de l'autre, et personne qui comprenne la joie de l'autre. On croit toujours aller vers l'autre et on ne va jamais qu'à côté de l'autre. O tourment pour celui qui sait cela. Mes créations sont le fruit de ma connaissance de la musique et de la connaissance de la douleur". (Franz Schubert, Journal, 27 mars 1824) "Il titolo - che significa Canto del cigno - viene da un Lied di Schubert che, cantato insieme ad altri, costituisce questa serata di canzoni. Siamo insieme, di nuovo, nella caverna inattuale del cavo di un teatro, ad ascoltare della musica schubertiana. Tutto scorre semplice, letterale, apparentemente senza conflitti. Ma mentre sono seduto nel buio ad ascoltare nasce una domanda: come fa questa donna che canta ad aver vissuto ciò che io stesso non ho mai vissuto? eppure - sì - sono certo di averlo fatto un tempo. Come fa a conoscere la mia intimità più a fondo di me stesso? Qual è l'origine della sua canzone che tocca così profondamente la mia origine? E che origine hanno queste mie lacrime, ora, prive di contenuto e diametralmente opposte al sentimentalismo -che odio-?" (Romeo Castellucci)

Francesca Cecconi
Da attrice a fotografa di scena per approdare alla mise en espace delle proprie critiche. Under35 precaria con una passione per la regia teatrale. Ha allestito una sua versione di Casa di bambola di Ibsen. Se fosse un’attrice: Tosca D’Aquino per somiglianza, Rossella Falk per l’eleganza, la Littizzetto per "tutto" il resto.