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Eschimesi al sole e identità al capolinea

Sguardazzo/recensione di "Un eschimese in Amazzonia"

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Cosa: Un eschimese in Amazzonia
Chi: Liv Ferracchiati, Greta Cappelletti, Alice Raffaelli
Dove: Firenze, Teatro Cantiere Florida
Quando: 08/03/2018
Per quanto: 65 minuti

L’ultimo capitolo della Trilogia sull’identità di Liv Ferracchiati rispecchia in pieno l’intero percorso che l’artista umbra, con la compagnia The Baby Walk, sta portando avanti da qualche anno. Un eschimese in Amazzonia accoglie il pubblico a sipario dischiuso sulla nuda scatola nera; nel buio, si intravede un gruppo di figure, compatto, in pantaloncini corti: una piccola squadra di calcetto.
L’allestimento ha inizio con la stessa Ferracchiati che, munita di un microfono dal cavo lunghissimo, risponde alle domande incalzanti del coro alle sue spalle: «Mi vuoi scopare se sei maschio?» La formula scenica è la stessa di Todi is a small town in the center of Italy, in cui un narratore, microfonato, copre il ruolo di cerimoniere, introducendo argomenti o presentando nuove azioni.

Il gruppo di performer al seguito, invece, è come un coro greco che risponde e interagisce con i monologhi della protagonista. È un gruppo incalzante sia in senso fisico, dal momento che realizza continue coreografie, sia per le numerose domande e risposte che offre alla solista: monologhi sull’identità di genere, fortemente legati all’attualità, nei quali dal gioco di parole, spesso, nasce una nuova azione drammatica, come in un esercizio da laboratorio teatrale. Si cita la salviniana lesbica Elsa di Frozen, paragonandola alla beneamata Lady Oscar, ma pure il problema dei bagni per uomini, dove sono del tutto assenti i cestini della spazzatura, come se i maschi non avessero immondizia da gettare.

Del resto, cosa potrebbe mai fare un eschimese in Amazzonia? I casi sono due: adattarsi al clima e provare a comprendere quelle terre, nonostante lui sia abituato ad altro; oppure rimanere semplicemente sé stesso, un eschimese al sole. Il coro antico che rappresentava gli ateniesi, qui diviene la società tutta, un’Amazzonia (non è un caso che il nome venga associato alle famose guerriere da un solo seno) carica di pregiudizi e cliché, che risponde alla voce del protagonista solitario, dell’emarginato, escluso per il semplice fatto di essere un eschimese in una terra assolata. 
I monologhi sono frutto di improvvisazione su canovaccio cui si contrappone la stesura fissa, precisa del coro, con una memoria ferrea e impostata. Quella di Ferracchiati è una drammaturgia fresca, giovane, accompagnata da un’altrettanto sbarazzina colonna sonora (si va da Vasco Rossi a Britney Spears) e che su tale aspetto fonda il proprio successo, giustificato da vari premi ottenuti (tra cui lo Scenario 2017).

La trilogia sull’identità giunge, dunque, al termine, dopo l’approccio “adolescenziale” di Peter Pan guarda sotto le gonne e il già più “maturo” Stabat Mater, focalizzato sulle relazioni di coppia in cui la figura della donna subisce una caratterizzazione a dir poco sessista. Un eschimese in Amazzonia, epilogo della serie, è quindi una sorta di testamento da parte di un uomo nel corpo di una donna, un lavoro sul sentirsi esclusi ma, al contempo, artefici del proprio destino. Ed è così che la regista e drammaturga, dopo esser stata in regia per i primi due allestimenti, scende in campo, letteralmente, vestendo la maglietta del calciatore preferito, quell’Oliver Hutton (Holly del manga e cartone giapponese Holly e Benji, due fuoriclasse) venerato da bambina. I compagni di tutti e tre gli allestimenti, nel finale, entrano in scena, vestiti a lutto: dicono del protagonista della storia, cui fanno il funerale per seppellirlo, per concedergli nuova vita e, soprattutto, una nuova identità. In Amazzonia.

VERDETTAZZO

Perché:
Se fosse... un apostrofo sarebbe... l'incertezza tra femminile e maschile di "un"

Locandina dello spettacolo



Titolo: Un eschimese in Amazzonia

Ideazione e testo Liv Ferracchiati 
Scrittura scenica Greta Cappelletti, Laura Dondi, Liv Ferracchiati, Giacomo Marettelli Priorelli, Alice Raffaelli 
Costumi Laura Dondi 
Luci Giacomo Marettelli Priorelli 
Suono Giacomo Agnifili 

Progetto Compagnia The Baby Walk

Produzione Teatro Stabile Dell’Umbria, Centro Teatrale Mamimò, Campo Teatrale, Compagnia The Baby Walk 
in collaborazione con Residenza Multidisciplinare Presso CaosCentro Opificio Siri Terni


Un eschimese in Amazzonia, citazione dell’attivista Porpora Marcasciano, fa riferimento al contesto socio-culturale avverso «che compromette, ostacola, falsifica un percorso che potrebbe essere dei più sicuri e dei più tranquilli», perché di fatto mette in crisi il modello binario sesso/genere, omosessuale/eterosessuale, maschio/femmina. Un modello binario che invade le nostre vite e le condiziona senza che ce ne accorgiamo. La presenza nella società degli “eschimesi” chiede a tutti di rimettere in discussione le regole della società stessa. Il centro del lavoro è il confronto tra l’eschimese, ovvero la persona transgender, e la società. La società segue le sue vie strutturate e l’eschimese si trova, letteralmente, a improvvisare, perché la sua presenza non è prevista. In questo caso però guardiamo dal suo punto di vista e la sfida è capire quanto e se la cosiddetta maggioranza gli sia distante. La logica con cui si struttura il lavoro è quella del “link web”: allora può succedere che, mentre si segue con crescente sgomento la vittoria di Trump, si presti vagamente orecchio a una puntata di MasterChef Italia. Che collegamento c’è? Nessuno, forse il nonsense è dietro l’angolo o forse il senso c’è, ma è un senso che si fa fatica ad accettare.

Francesca Cecconi
Da attrice a fotografa di scena per approdare alla mise en espace delle proprie critiche. Under35 precaria con una passione per la regia teatrale. Ha allestito una sua versione di Casa di bambola di Ibsen. Se fosse un’attrice: Tosca D’Aquino per somiglianza, Rossella Falk per l’eleganza, la Littizzetto per "tutto" il resto.