Pochi giorni a Natale: il Teatro del Giglio di Lucca festeggia con una Bestemmia d’amore che porta la firma di Enzo Avitabile e Pippo Delbono. Sul palcoscenico, la strumentazione è posizionata sul proscenio mentre, sullo sfondo, vivaci lampade blu illuminano i drappeggi di una tenda scura.
La visuale è appena disturbata dall’impianto di amplificazione e lo sarà anche l’acustica del parlato; basso e cupo il suono della voce di Delbono, talvolta destinato a confondersi in un marasma grave. Del resto, il ritmo slegato e frammentario delle parole sembrerà essere solo evocativo di un teatro di immagini che, a Natale, fa apparire e sentire, come tradizione vorrebbe, tutti più buoni. La declamazione forzata ed eccessiva di Delbono non favorirà alcun percorso di empatia; al contrario, lo stupore per i gesti e i movimenti plateali riporterà fatalmente alla dimensione del reale, dando quasi l’impressione di assistere a un’esibizione da festa privata. Una sorta di eccesso di zelo che conferisce banalità di circostanza ai contenuti.
Altro ordine di considerazioni merita il contributo di Enzo Avitabile che, pur restando in primo piano, non si lascia mai confondere dalla festosità di uno spettacolo di piazza. I suoi brani, arricchiti da un accompagnamento ritmico e melodico , sono frutto di attenta sperimentazione e contaminazione tra generi, lasciando intravedere frammenti di musica popolare con elementi orientaleggianti. I testi richiamano alla solidarietà universale tra gli uomini, il cui legame reciproco non dovrebbe rispettare i confini di stati nazionali. Le sinuose melodie hanno una dimensione etnica lontana dalle sonorità commerciali cui siamo abituati. L’uso di strumenti a percussione, a fiato e a corda, inusuali nella forma e nel timbro, contribuiscono a creare un’atmosfera quasi surreale, estatica.
Narrazione e brani musicali si alternano in modo regolare, affinché il pubblico trascorra dal potere evocativo della musica a quello delle parole. Queste due dimensioni, pur correndo su binari completamente diversi, richiamano esperienze forti di vita e di morte nell’elemento che unisce le terre del Mediterraneo: l’acqua. La bestemmia è quella che ipocritamente il mondo crea nell’assistere falsamente sconvolto dalla morte che potrebbe essere evitata continuando a parlare d’amore.
Il pubblico partecipa con enfasi allo spettacolo, ma, attraverso la superficie quasi carnascialesca dell’evento, si intravede la voglia delbonesca di un finale “col botto” (finale che si dimostrerà ben poco adatto sia ai contenuti sia al contesto teatrale). Una danza sguaiata con una pioggia d’acqua lanciata dal palcoscenico è stata il vero “gioiello” dell’epilogo.