Dopo aver assistito all’ultimo spettacolo portato in scena dal Teatro del Carretto (ne abbiamo parlato qui), facciamo un salto nel 1983, anno in cui la compagnia viene fondata e dà vita alla sua prima opera: la preziosissima Biancaneve, che da allora ha abitato più e più volte i palchi toscani.
Da sempre frequentatrice dei teatri della lucchesia, rimesto confusamente alcuni dettagli dello spettacolo visto anni fa, quando bambina mi emozionavo alla vista di nani poco più bassi di me che attraversavano la platea.
Lo spazio scenico è ridotto a un teatrino di legno che pare ora un castello ora un armadio, con ante e sportelli che sembrano mutare continuamente la loro forma.
La narrazione rimanda direttamente alla fiaba dei fratelli Grimm, ignorando, ci pare, il film Disney del 1937, scolpito nella mente dei più.
La prima anta si apre rivelando una figura umana gigantesca di fronte al teatrino: è la regina (madre), interpretata da Elena Nenè Barini, che in questo primo momento appare in tutta la sua sfarzosa maestà, per poi farsi riassorbire dal legno e mutarsi in una minuscola marionetta.
I personaggi sono quasi tutti marionette raffinatissime, mosse dalle abili mani di Giacomo Pecchia, Giacomo Vezzani e Jonathan Bertolai, eccezion fatta per la regina (matrigna), ancora Nenè Barini, stavolta dotata di una maschera altèra e di un vestito sontuoso. Il fatto che le figure materne siano le uniche ad assumere sembianze umane risulta intrigante, i bambini ne sono affascinati e spaventati
Inevitabilmente, buona parte della sala è occupata da soggetti molto più fastidiosi dei ragazzini: credo sia chiaro a chiunque abbia assistito anche solo a un po’ di teatro per ragazzi quanto incredibilmente offensiva sia talvolta l’insensibilità di molti genitori, ma ignorando la lista della spesa stilata dalla madre incomprensibilmente annoiata alla mia destra e gli sbuffi del padre assopito alla mia sinistra riesco a rientrare nella pacata delicatezza dello spettacolo.
La storia procede con semplicità: Biancaneve, bambina più che ragazza, fugge nel bosco. Un cacciatore di dimensioni incredibili appare dietro la piccola marionetta della protagonista, pronto a ucciderla, per poi lasciarla andare, intenerito dalla sua dolcezza. Finalmente la piccola arriva alla casa dei sette nani, i quali entrano nella struttura lignea dopo essere passati in mezzo alla platea, provocando grida di stupore e qualche risata. La matrigna tenta di assassinarla per ben tre volte, utilizzando travestimenti e stratagemmi che mettono quantomeno in dubbio l’intelligenza di Biancaneve. Nessuna magia, la giovane si è soffocata con un pezzo di mela. Nessun bacio a riportarla in vita: quando un principe, innamoratosi, solleva la bara, ecco che il pezzo di mela viene rigettato, liberando le vie aeree della bella principessa.
E vissero tutti felici e contenti. Eccezion fatta per la matrigna, ovvio, costretta a danzare con scarpe roventi al matrimonio regale.
Un’idea fastidiosa e un po’ retrograda mi si instilla nella mente: che questa generazione di giovanissimi sia meno sensibile al teatro perché abituata ad essere sovraesposta a stimoli di diverso tipo?
Una bambina fuga qualsiasi dubbio: rompe il silenzio con un singhiozzo, si alza e nel buio della sala allunga le braccia cercando a tentoni la madre.
Lei piange, terrorizzata, e uno spettacolo vecchio di trentacinque anni riafferma la propria efficacia.