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“Uno zio Vanja”: pacchi postali, dall’ostetrica al becchino

Sguardazzo/recensione di "Uno zio Vanja, Čechov-V.marchioni (2017)"

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Cosa: Uno zio Vanja, Čechov-V.marchioni (2017)
Chi: Vinicio Marchioni, Francesco Montanari, Letizia Russo
Dove: Firenze, Teatro della Pergola
Quando: 30/01/2018
Per quanto: 150 minuti

Un teatro, tracce di costumi da inventariare, una lunga quinta che profuma di polvere aperta su una breccia che sembra affacciarsi su un giardino. La scenografia, in corso d’opera, non varierà mai, tranne che per qualche dettaglio, a indicare la differenza tra giorno e notte, o il passare delle stagioni. Modifiche minime, più di contesto che di sostanza.
Un teatro, una famiglia, e il terremoto: le premesse con cui inizia lo spettacolo.

Vinicio Marchioni, regista e attore, scommette su un testo di Čechov, provando ad affondarci le mani con l’intento dichiarato di sporcarsi il più possibile, di avvicinarsi alla suggestione, annegare nella noia e nell’immobilismo. Nel farlo opera delle scelte: trasporta la vicenda dal casolare di campagna in un teatro, sostituisce l’epidemia di tifo col terremoto, ancorando la vicenda a un presente con cui lo spettatore sia in grado di empatizzare maggiormente. Mescola i piani temporali, vestendo alcuni attori come in una fotografia sbiadita, facendoli però ragionare su tematiche attualissime. La bambinaia Marina parla con spiccato accento meridionale, si beve grappa anziché vodka, e solo alcuni dei nomi originali sono ripresi, ricorrendo, ove possibile, al diminutivo, limitandosi, altrove, agli appellativi dottore (per Àstrov) e Magister per Serebrijakov. La domanda in conclusione è questa: perché tanta fatica nel gestire il dettaglio e lasciare quasi al caso il significato? Perché parlare con tanta convinzione di noia, famiglia, vecchiaia, dello scoprirsi una vita senza scopo, allo stesso modo con cui si descrive una giornata uggiosa?  Marchioni sembra scegliere di avere paura, finendo per osare quel tanto che ritiene opportuno e inserire Uno nel titolo.

L’adattamento di Letizia Russo non sacrifica niente ma aggiunge, dilata e, in un certo senso, stempera, attenuando quelle tinte che macchiano di infelicità la vita dei personaggi. Marchioni e Francesco Montanari, rispettivamente Vanja e il dottore, sono carini da osservare, se ne percepisce il legame figlio di altre esperienze vissute insieme. Il primo appesantito dal peso dalle circostanze, dalle responsabilità imposte e dalle ambizioni frustrate; il secondo, logorato dal dovere, uomo dall’anima sana che finge essere malata. Ma se i due risultano essere in un certo senso più vivi, il resto della compagnia si muove appiattita sul fondo.  C’è qualcosa di stridente che ricorda la finzione a cui si assiste, e che lascia ricadere nella realtà della poltrona su cui si è seduti. Sembra di osservare una foto sovraesposta: picchi d’ansia, di rabbia, di angoscia, di dolore, con una ridondanza di sentimento, una volontà al voler soffrire più di tutti, di patire silenziosi o gridati dolori, quasi reclamandone il primato.

La messinscena termina con il monologo di Sonia, la più giovane della famiglia, che ripete meccanicamente il brano, scandito dal pianto soffocato che le trabocca in gola. Questo dolersi cantilenante è, forse, l’aspetto più deludente, perché sembra svuotare di senso qualcosa che pesa quanto il mondo, quanto una vita spesa nel nulla. Čechov decide, infatti, di affidare queste parole non al vecchio e disilluso protagonista, Vanja, ma a una ragazzina, siglando un monologo straziante che racconta la promessa di ricordare il dolore di un’esistenza non vissuta nelle dolcezze di una misericordevole morte.  Volendo descrivere sinteticamente il finale: tutti se ne sono andati. Vanja e Sonia siedono illuminati da tinte calde. Vanja si strugge per un numero preciso di secondi, Sonia si lamenta per il tempo restante. Buio.

 

VERDETTAZZO

Perché: No
Se fosse... una cosa qualsiasi sarebbe... una cosa qualsiasi

Locandina dello spettacolo



Titolo: Uno zio Vanja, Čechov-V.marchioni (2017)

Di Anton Čechov
Adattamento Letizia Russo
E con Lorenzo Gioielli, Milena Mancini, Nina Torresi, Alessandra Costanzo, Andrea Caimmi, Nina Raja
Scene Marta Crisolini Malatesta
Costumi Milena Mancini e Concetta Iannelli
Regia Vinicio Marchioni
 
Produzione Khora.teatro
In coproduzione con Fondazione Teatro della Toscana
Ritratto Vinicio Marchioni Nicola Cariati

Si vive, semplicemente (o ci si avvicina alla morte giorno dopo giorno), e nel vivere si soffre, in un grigiore permanente e alienante. Vinicio Marchioni dirige e interpreta Zio Vanja di Čechov nell’adattamento di Letizia Russo. Al suo fianco in scena Francesco Montanari. Si tratta della malinconica tragedia delle occasioni mancate, delle aspirazioni deluse di un gruppo accomunato da legami di parentela o dal semplice caso, che parla molto e fa molto poco per sfuggire a una condizione di cui è insoddisfatto. Persone ingabbiate nell’inanità, che a forza di pensare hanno finito per rinunciare ad agire, come Astrov, o che tentano di reagire, ma falliscono mettendosi in ridicolo, come zio Vanja. Questa riedizione di Zio Vanja ha l’obbiettivo di riavvicinare il vasto pubblico alla storia del teatro, dimostrandone l’attualità dei valori in un allestimento attento ai nuovi linguaggi della regia del teatro contemporaneo. Una produzione Khora.teatro, Fondazione Teatro della Toscana. Trama Il 26 ottobre del 1899 Anton Čechov fa rappresentare al Teatro d’arte di Mosca Zio Vanja, oggi considerato uno dei drammi più importanti dello scrittore di Taganrog. Protagonista dei quattro atti originali è Ivan Petrovic Voiniskij, zio Vanja appunto, che per anni ha amministrato con scrupolo e abnegazione la tenuta della nipote Sonja versandone i redditi al cognato, il professor Serebrjakov, vedovo di sua sorella e padre di Sonja. Unica amicizia nella grigia esistenza di Vanja e di Sonja è quella del medico Astrov, amato senza speranza da Sonja. Per il resto sono tutti devoti al professore, che credono un genio. Serebrjakov si stabilisce con i due, insieme alla seconda moglie, Elena. Le illusioni sono presto distrutte: alla rivelazione che l’illustre professore è solo un mediocre sfacciatamente ingrato, zio Vanja sembra ribellarsi: in un momento d’ira arriva a sparargli, senza colpirlo. Nemmeno questo gesto estremo modifica il destino di Vanja e di Sonja, che riprendono la loro vita rassegnata e dimessa, sempre inviando le rendite della tenuta al professore tornato in città con la moglie. Lo stile di Čechov, modellato sul tragicomico del quotidiano, restituisce con fascino irripetibile e struggente le complesse sfaccettature dell’esistenza umana anticipando e influenzando tutti i motivi successivi della drammaturgia occidentale europea e nordamericana. “Volevo solo dire alla gente – affermò – in tutta onestà: guardate, guardate come vivete male, in che maniera noiosa”. Lo spettacolo nell’adattamento di Letizia Russo (da un’idea di Vinicio Marchioni e Milena Mancini), in assoluto rispetto delle dinamiche tra i personaggi e dei dialoghi del testo classico, fa perno su precise note di contemporaneità della scrittura cecoviana per esaltarne la straordinaria attualità creativa. La regia di Vinicio Marchioni, attorniato da un cast di comprovata qualità artistica e professionale, prende le mosse da un profondo studio del meccanismo drammaturgico dell’originale, per restituirne pienamente il dovuto spessore culturale. Zio Vanja è uno specchio in cui possiamo vedere riflessa la nostra incapacità (o non volontà) di essere felici. Può essere una visione sgradevole, perché è duro fissare negli occhi la propria anima. Ma gli specchi hanno un lato salutare: se quello che appare non ci piace, possiamo almeno tentare di cambiarlo. In fondo è a questo che Čechov ci invita: capire quanto sia meschina l’esistenza borghese, così priva di slanci e di entusiasmi, così mediocre e vuota, per inventarsene una diversa. E uscire dalla gabbia che ci siamo fabbricati per diventare uomini migliori. Note di regia I temi universali della famiglia, dell’arte, dell’amore, dell’ambizione e del fallimento, inseriti in una proprietà ereditata dai protagonisti della vicenda di Zio Vanja, sono il centro della messa in scena. Cosa resta delle nostre ambizioni con il passare della vita? E se fossimo in Italia oggi, anziché nella Russia di fine 800? La nostra analisi del capolavoro cechoviano parte da queste due domande, che aprono squarci di riflessioni profondissime, attraverso quello sguardo insieme compassionevole, cinico e ironico proprio di Anton Cechov finalizzato a mettere in scena «gli uomini per quello che sono, non per come dovrebbero essere»”. Vinicio Marchioni

Gemma Salvadori
Nata a Volterra nell'inverno del 1992, vive lì, studia a Pisa. Sogna di vivere in un attico con un cane e quattro gatti: tutto molto bello ma davvero poco interessante. Fuma e scrive su un' agenda bancaria più vecchia di lei rivestita con la carta da parati della nonna del suo vicino di casa.