Piero della Francesca. Il punto e la luce di CapoTrave, compagnia guidata da Lucia Franchi e Luca Ricci, ha chiuso la rassegna di Teatri di Confine al Teatro Sant’Andrea di Pisa. Lo spettacolo presenta già nel titolo un tono didattico da manuale di storia dell’arte, eppure, sorprendentemente, si avvicina di più a un messaggio promozionale diffuso dal Ministero dei Beni Culturali (che, infatti, supporta il progetto) per incentivare il turismo locale.
Siamo d’accordo con la commistione dei linguaggi, ma il plurilinguismo di questa messinscena è male assortito. Videoproiezioni, animazioni digitali, spettacolo dal vivo, sperimentazioni sonore: di tutto un po’, insomma, ma la qualità dei singoli elementi, e la loro fusione, non convince e non costituisce novità alcuna.
Lo spazio scenico del Sant’Andrea, ritagliato attraverso tele oscuranti, è significativamente ridotto e uno schermo che si impossessa del campo visivo dello spettatore. Le luci di Gianni Straropoli giocano con l’opacità e la trasparenza del display che, neutro, ingloba i due attori in una sorta di spazio rialzato tanto simile alla scatola di un vecchio televisore.
Barbara Petti (Giovanna-cognata del pittore) e Gregorio di Paola (Paolo-allievo di Piero), sono i protagonisti, e unici personaggi, della drammaturgia di Franchi e Ricci. Si tratta di «una favola storica, dove nulla è vero ma tutto è verosimile» – affermano gli ideatori – nella quale la vicenda di Piero della Francesca, alle prese con le prime sperimentazioni geometriche e luminose, emerge in filigrana dal racconto di questa coppia “familiare”.
Anche su questo fronte nulla di particolarmente originale, tuttavia la fabula sarebbe godibile se non fosse per la recitazione dei due attori. Il loro registro stilistico si assesta, infatti, su un piatto naturalismo “televisivo”. I costumi vagamente d’epoca e l’assetto scenografico hanno ricordato all’Arlecchino che scrive una soap opera spagnola tanto in voga in questo periodo: colloquialismo, sarcasmo esasperato e uso abbondante di toni ironici ne sono prova inconfutabile (“qualcuno”, nel secolo scorso, ha parlato di «recitazione pensosa e disinvolta»).
Discorso a parte va fatto per le elaborazioni video di Andrea Giansanti, il quale con abilità decompone le tele dell’artista, animando punti e linee di luce, in questo caso più eloquenti delle parole del racconto, con le quali, tuttavia, tenta il dialogo. In alcuni momenti, infatti, la proiezione ha il compito di ingrandire e digitalizzare una micro-azione dell’attore: mescolare la colla, ricamare. Ma se l’animazione e l’amplificazione video delle azioni possono risultare operazioni originali, gli spezzoni che ripropongono gli antichi mestieri del borgo trascinano anche il côté visivo nella direzione promozionale più che nella ricerca artistica, al grido di “Welcome to Sansepolcro!”.