ARCHIVIO SPETTACOLI
Il Mago di Oz, Entr’Arte/MD Teatro (2013)
Titolo: Il mago di OzRegia: Italo Dall'Orto
dal capolavoro di L. Frank Baum
adattamento e regia Italo Dall’Orto
musiche originali Gionni Dall’Orto
DOROTHY Gea Dall’Orto
Margherita Santoro (secondo cast)
SPAVENTAPASSERI David Bianchi
UOMO DI LATTA Gionni Dall’Orto
LEONE Claudio Tosi
STREGA DELL’OVEST Erika Giansanti
GLINDA, LA SCIMMIA ALATA, IL CICLONE Simona Haag
costumi Giuseppe Palella
Coreografie Deanna Losi
Note di regia una messa in scena
Esistono libri per l’infanzia che rappresentano, al di là del loro valore letterario universale, il tessuto connettivo di una nazione. Così è per Pinocchio, per Il piccolo Principe, per Alice (tutti testi che hanno avuto a che fare con la nostra attività teatrale).
Per Il mago di Oz, il caso si colora addirittura di patriottismo: citando Masolino D’Amico: “Con l’allegra serietà di un rituale domestico, la popolazione compatta si rimette ogni anno davanti al televisore a sentire per la milionesima volta Over the Rainbow uscire dall’ugola perennemente argentina di Judy Garland; o affolla disciplinatamente i teatri dove avviene l’ultima rielaborazione del sacro testo”.
C’è tanto di americano anche nel suo autore: Frank Baum (1856-1919), fu attore, rappresentante di lubrificanti e di porcellane, autore di musical, giornalista e fondatore di riviste per vetrinisti, più volte fallito e resuscitato, ogni volta ricominciando in qualche parte dell’East o del West degli States, finché a Chicago, nel 1900, dall’incontro col grande disegnatore W.W. Denslow, nacque The Wonderful Wizard of Oz.
Come non pensare a lui come creatore del favoloso mondo di Oz, dove forze oscure e benevole si contendono l’esito del viaggio della caparbia Dorothy e dei suoi amici, un mondo in cui i quattro punti cardinali hanno lo stesso valore mitico di quello degli States?
Dove strane comunità di ominidi vivono con sospette regole sociali (il libro di Baum fu giudicato politicamente malsano dalla paranoica Commissione McCarthy)?
E infine, la piccola Dorothy non incarna, e sostituisce, un affrancamento culturale e comportamentale dalla sua coetanea europea, la vittoriana Alice?
La simpatia che proviamo per questo testo ci induce una volta di più a tentare la sua messa in scena con la consueta aderenza rispettosa sì, ma non oleografica.
Luci, musiche, danze, colori sono i nostri ingredienti teatrali a cui non rinunciamo: come anche non rinunciamo ad affidare alla voce argentina di una bambina le parole di Dorothy.