ARCHIVIO SPETTACOLI

    La notte poco prima delle foreste, L. Gioielli (2019)

    Titolo: La notte poco prima delle foreste

    di Bernard-Marie Koltès
    con Pierfrancesco Favino
    traduzione Crico – Favino
    adattamento teatrale Pierfrancesco Favino
    luci Marco D’Amelio
    sound designer Sebastiano Basile
    regia Lorenzo Gioielli
    produzione Compagnia Gli Ipocriti Melina Balsamo

    Lorenzo Gioielli dirige Pierfrancesco Favino ne La notte poco prima delle foreste di Bernard-Marie Koltes.
    I temi assoluti di questo autore prematuramente scomparso a quarant’anni affiorano in un poema per voce sola che sconta i problemi dell’identità, della moralità, dell’isolamento, dell’amore non facile. Poco prima del punto di non ritorno della nostra umanità.
    Una produzione Compagnia Gli Ipocriti Melina Balsamo.

    Essere stranieri. Abbordare un nuovo e giovane amico sotto la pioggia. Avere in cuore una ragazza notturna, un ectoplasma da lungofiume. Odiare gli specchi. Amare le puttane matte. Distinguere il ‘nervosismo’ dei macrò usciti dritti dritti dalle gonne di mamma. Farsi un’idea di qualcuno solo se te lo scopi. E però poi filarsela, senza discorsi. Denunciare la divisione in zone di lavoro settimanale, in zone per le moto, o per rimorchiare, o per le donne, o per gli uomini, o per i froci, e avvilirsi per zone della tristezza, della chiacchiera, dei venerdì sera.
    L’intelaiatura di quest’opera è un paradigma straordinario, un testo fluentissimo e irto nella sua prosa vertiginosa, aliena da punteggiatura ferma, tutta pervasa di anacoluti e biasimi come un romanzo-pamphlet di Céline. I temi assoluti di questo autore prematuramente scomparso a quarant’anni affiorano in una comunicazione per voce solista, un poema teatralissimo che sconta i problemi dell’identità, della moralità, dell’isolamento, dell’amore non facile.

    Nella notte poco prima delle foreste, poco prima del punto di non ritorno della nostra umanità, poco prima della fine del mondo, un uomo, uno straniero, un estraneo, un diverso che ha tentato in tutti i modi di diventare un eguale, ferma nella pioggia un ragazzo. Che sembra un bambino. Immacolato.
    Qualunque cosa aggiunga e qualunque tentativo di spiegare cosa l’estraneo dice al giovane farebbe un torto a Koltès, a Favino e al pubblico. Le piane e corrette parole che dovrei scrivere servirebbero soltanto a limitare la dolorosa vastità dell’interprete e a minimizzare la sconcertante bellezza del testo.
    Altra cosa, da regista, è dare una forma a tale evento. Questa forma non è una creazione, come per l’autore e l’attore. La regia de La notte riguarda soltanto il portare alla luce tutto quello che si è compreso dell’abbagliante e umanissima bellezza che si è avvertita, e che quindi si è aiutato a comprendere, sia dell’attore che del testo. Anche se tracciare una linea di confine fra i due, a questo punto delle prove, è francamente uno sterile esercizio intellettuale. Depurare ed esaltare l’esistente, quindi, non aggiungere sovrastrutture espressive non necessarie.
    Altro imperativo categorico di questa formalizzazione è l’assoluta comprensibilità per il pubblico. Non solo da un punto di vista logico ma per un più completo riconoscimento emotivo dell’evento a cui si assiste.
    Per raggiungere questi scopi, alla regia sono necessari calore, obiettività e ascolto, non necessariamente in questo ordine. Sono altamente sconsigliati cinismo ed egotismo, in quanto fattori inquinanti e ingannatori. Bisogna esercitare l’autenticità del proprio sguardo perché generi l’autenticità dello spettacolo. Per tutto il resto, il pubblico è re.

    Lorenzo Gioielli

    Mi sono imbattuto in questo testo un giorno lontano, mi sono fermato ad ascoltarlo senza poter andar via e da quel momento vive con me ed io con lui.
    Mi appartiene, anche se ancora non so bene il perché.
    È uno straniero che parla in queste pagine.
    Non sono io, la sua vita non è la mia eppure mi perdo nelle sue parole e mi ci ritrovo come se lo fosse.
    Il suo racconto mi porta in strade che non ho camminato, in luoghi che non ho visitato.
    Come un prestigiatore fa comparire storie di donne, di angeli incontrati per caso, di violenze e di paura di ciò che non conosciamo.
    Forse è anche a questo che serve il Teatro e mi auguro di riuscire a portarvi dove lui porta me.
    Questo spettacolo nasce da una promessa che non avrei in nessun modo tradito fatta a una donna che di Teatro si è nutrita e che ha nutrito il Teatro.
    La produttrice di Servo per due, la mia amica testarda e coraggiosa, quella che aveva sempre l’ultima parola, quella che si è fidata di me.
    La mia amica si chiama Melina Balsamo e questo spettacolo è per lei.

    Pierfrancesco Favino

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