ARCHIVIO SPETTACOLI

    Souper, F. Molnár/F. Paravidino (2016)

    Titolo: Souper
    Regia: Fausto Paravidino

    di Ferenc Molnàr
    traduzione Ada Salvatore
    adattamento e regia Fausto Paravidino
    con Filippo Borghi, Adriano Braidotti,
    Ester Galazzi, Andrea Germani, Lara Komar,
    Riccardo Maranzana, Francesco Migliaccio,
    Maria Grazia Plos
    e Federica De Benedittis
    scene Laura Benzi
    costumi Sandra Cardini
    suono e video Daniele Natali
    luci Alessandro Macorigh
    produzione Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia

    Un direttore di banca, il giorno del suo compleanno invita gli amici a cena. È un anniversario speciale per lui: giunto all’apice della carriera, vuole condividere questo momento con le persone che più gli sono vicine, con le quali ha condiviso tanti momenti importanti. Prepara anche un discorso per ringraziare tutti ma, proprio mentre lo legge, il maggiordomo comunica che alla porta c’è un uomo: un ispettore di polizia venuto proprio per lui, per il direttore… Scompiglio tra i convitati; qualche domanda, qualche sguardo, e tutto all’improvviso cambia di prospettiva. Le persone radunate attorno a quella tavola sono ancora gli amici che qualche istante prima brindavano e ridevano? Tutto il sostegno avuto nel costruire questa luminosa carriera è sempre avvenuto alla luce del sole e nella piena legalità?

    Con una capacità straordinaria nel costruire dialoghi che, attraverso la massima levità, in un momento spalancano davanti agli occhi dello spettatore mondi ben più grevi, l’incantevole autore de I ragazzi della via Pàl dipinge una società della quale la corruzione sembra il tratto essenziale: che non lascia scoperta alcuna ruota dell’ingranaggio, perfettamente oliato, entro cui la Classe Dominante si muove. Un mondo lontano dal nostro quotidiano? A vedere le reazioni dei singoli personaggi ai vari coups de scène che si susseguono nella serata, non sembrerebbe proprio; la casta, gli interessi, i tradimenti, i regali, i ricatti, il gioco degli amanti e degli affari non sono affatto così lontani nel tempo e anzi, ti chiedi: ma davvero l’ha scritto Molnàr nel 1930?!

    «Nato nel 1878 a Budapest; 1895: studente di diritto a Ginevra; 1904: giornalista e scrittore noto; 1914: commediografo ancora più noto; 1930: vorrei ancora essere studente a Ginevra…» poco prima di morire, nel 1952, Ferenc Molnàr sintetizzava così la propria vita: poche righe che danno già prova della sua abilità di scrittore, del suo houmour venato di scetticismo, ma anche del suo giocoso attaccamento alla vita.

    Accenti che connotano appieno la sua ampia  ed eclettica opera letteraria, che comprende romanzi, novelle, commedie teatrali, articoli giornalistici. Ungherese, Molnàr appartiene giovanissimo all’ambiente bohemiènne del Caffé New York, nel cuore della capitale ed esordisce come scrittore sostituendo una propria novella alla traduzione di una di Anatole France, che avrebbe dovuto curare per un giornale. Fu un successo e da lì iniziò la sua parabola di autore. Fra i suoi maggiori successi non si può non citare il romanzo che gli assicura la notorietà mondiale, I ragazzi della via Pàl del 1906, in cui racconta lo scontro fra due bande di adolescenti, preceduto da La città affamata e dal racconto Danubio blu.

    Ma è probabilmente il teatro a dargli la possibilità di esprimere appieno il talento e la fantasia. Crea commedie gustose e intelligenti, a partire dal 1902, con Il signor dottore, che gli vale un immediato successo di critica, per passare poi attraverso veri capolavori, come Il diavolo (1907) – in cui mette a confronto una moglie bigotta con i propri desideri taciuti – o Liliom (1909) che fonde vicende terrene e ultraterrene, una vera innovazione portata da Molnàr nella struttura della commedia coeva.

    Concretizza dunque nel teatro la propria capacità inventiva, la grande abilità di creare efficaci architetture drammaturgiche e la sua eccellente capacità di inventare dialoghi raffinati, brillanti, ironici ma sfiorati talvolta da una lieve malinconia.

    Nei suoi lavori raffigura il mondo che lo circonda con spirito critico e un’acutezza senza tempo, ma s’ispira anche a orizzonti più fiabeschi e fantasiosi. Riserva una certa simpatia per i farabutti, pur partecipando sinceramente per chi subisce ingiustizie sociali.
    Di origini ebraiche, agli albori della seconda guerra mondiale fugge negli Stati Uniti, dove continua a scrivere e lavorare. Molte delle sue commedie – come Il cigno, divenuto un delicato film con Grace Kelly – sono state adattate da penne celebri, quali Tom Stoppard o Arthur Miller, per la radio ed il cinema.

    SGUARDAZZI/RECENSIONI