Una mano al calendazzo, un’altra ai decreti da cui è conseguita la sospensione di tutti gli eventi spettacolari, ci accingiamo imperterriti a redigere i consigliazzi per questa prima settimana di restrizioni. Noi ve l’avevamo detto di lavarvi le mani e fare ammodino, ma tanto lo sappiamo che siete degli zozzoni (vi abbiamo visti, eh, tutti mangiare topi vivi agli apericena…) e ora tocca stare tutti a casa.
Questo appuntamento della nostra rubrica avrebbe potuto chiudersi qui, ma noi non ci diamo per vinti e scartabelliamo i comunicati arrivati negli ultimi giorni.
Uno in particolare ci colpisce: nell’annunciare la sospensione di tutti gli eventi di Teatro liquido (le stagioni coordinate del Teatro delle Sfide di Bientina e del Teatro Verdi di Casciana Terme), Andrea Kaemmerle fornisce alcune indicazioni.
Anzi, delle raccomandazioni.
Anzi, no, proprio degli ordini:
Ci uniformiamo agli ordini del Governo e dello Stato, ora che siamo bloccati tutti vi imponiamo di leggere libri belli, guardare al massimo due ore al giorno la televisione. Consentite sono solo Rai 5, Rai Movie e Rai Storia. Si sconsiglia fortemente tutto il resto.
Non vediamo come potremmo disobbedire: puntualizziamo solo che ormai nessuno guarda più la televisione, abituati come siamo a controllare il flusso dell’intrattenimento grazie ai vari portali di streaming video. Ne abbiamo sondati un po’ e qui vi diamo qualche dritta, sperando di tornare il prima possibile a mandarvici per davvero, in teatro.
Focus Marco Paolini
I consigli sul teatro in video vogliamo inaugurarli come abbiamo fatto per questa rivista: sotto lo sguardo benevolo di Marco Paolini, uno dei capostipiti del teatro di narrazione italiano. Per nostra e vostra fortuna, molti dei suoi titoli che hanno fatto la storia di un genere sono reperibili on-line in modo (crediamo) abbastanza legale. Il più celebre è Il racconto del Vajont, monologo del 1993 scritto con Gabriele Vacis (ma non dimentichiamo il contributo pure di Francesco Niccolini) sul disastro avvenuto la notte del 9 ottobre 1963 al confine tra Friuli e Veneto. In occasione del trentaquattresimo anniversario della tragedia, il monologo di Paolini venne trasmesso in diretta su Rai Due dal teatro della diga del Vajont. Non fidatevi del video si trova su YouTube (manca il finale): esiste una versione integrale sul sito Internet Archive. Un’altra pietra miliare è I-TIGI. Canto per Ustica (2000), anche in questo caso a partire da una pagina dolorosa della storia italiana che val la pena ripassare: il misterioso e fatale incidente aereo sul volo Bologna-Palermo del 27 giugno 1980. In entrambi i casi Paolini costruisce un racconto ben documentato e approfondito, ma soprattutto teatralmente impeccabile: i suoi (lunghi) monologhi sono meccanismi perfetti, la cui sapienza scenica tiene incollati gli spettatori, superando anche il filtro del video. Se conoscete già questi lavori, ecco altri adattamenti di Paolini per il piccolo schermo: Album d’aprile, in cui il racconto di una generazione diventa un’ode al rugby (La7, 2005); Ausmerzen. Vite indegne di essere vissute, sullo sterminio nazista di disabili e malati di mente come macabra prova generale dell’olocausto (La7, 2011); ITIS Galileo, dai laboratori del Gran Sasso, in cui si racconta Galilei tra storia, attualità e commedia dell’arte (La7, 2012). Più recente è, infine, Ballata di uomini e cani, lavoro tratto da Jack London e che supera il teatro di narrazione: questo fu visto e recensito da Francesca Cecconi e, nel dubbio, rivisto e ri-recensito da Alessandro Cei, arlecchino esperto sul peculiare genere performativo.
RaiPlay – Omero (e) contemporaneo
Complici le maggiori entrate date dal canone in bolletta negli ultimi anni, la RAI sta portando avanti progetti ambiziosi rivolti alle fasce di pubblico che rischiava di perdere, puntando su produzioni costosissime (I Medici, L’amica geniale) e il tentativo di posizionamento sul fronte dei portali di streaming video. Soldi e potenza di fuoco certo non mancano in Viale Mazzini, benché i risultati siano spesso segnati da una scarsa cura che tradisce il vero interesse della maggior azienda culturale italiana: esibire progetti ambiziosi e incassare bonus (economici e d’immagine), piuttosto che rendersi realmente competitiva. Il motto del portale RaiPlay è «molto più di quanto immagini», perché effettivamente il catalogo di film e serie tv è inaspettatamente ampio e variegato. Vorremmo aggiungere «ma pur sempre meno di quanto speri», visto che spesso la qualità è bassa (480p per produzioni dell’ultima decade è una risoluzione ridicola) e, soprattutto, non c’è la possibilità di cambiare traccia audio per i film stranieri.
Finito il pippone, andiamo a cercare le cose che ci interessano. Per questa settimana vi segnaliamo tre video che non ci saremmo mai aspettati di trovare.
Il primo titolo è l’Iliade del Teatro Del Carretto, forse la più celebre produzione della compagnia lucchese, maestoso spettacolo del 1988 qui offerto in video nel riallestimento del 2013, per celebrare il trentennale del gruppo. In quell’occasione, vide la luca il progetto Verso Troia, uno dei momenti embrionali della rivista che state leggendo: alla realizzazione concorsero Teatro del Giglio e Fondazione Toscana Spettacolo, prima che qualcuno s’impermalisse giacché la critica teatrale va bene, ma solo se positiva. Vi invitiamo davvero a darci un’occhiata: troverete approfondimenti, interviste e guida alla visione. Al di là dell’aspetto affettivo, consigliamo vivamente questa versione teatrale del poema omerico, a metà tra corpi e macchine.
Restiamo in tema epico per segnalare uno spettacolo molto interessante nel catalogo di RaiPlay: Odyssey, regia di Bob Wilson, grande produzione internazionale tra il Piccolo Teatro di Milano e il Teatro Nazionale di Atene. Il debutto risale al 2013, noi lo abbiamo recensito nelle repliche milanesi del 2015. Citandoci addosso: «Il testo è un adattamento della riscrittura omerica di Simon Armitage, qui recitato da diciotto attori che occasionalmente emergono dall’anonimato per assumere un’identità più o meno duratura. I corpi (bianchi, in cerca di una dimensione prototipica) si muovono con gesti ora meccanici, ora armoniosi, sempre irreali. Ciò che vivono in scena non è la loro vita: come dei carillion, obbediscono a un volere superiore, quasi consapevoli di costruire un mito fondativo. Spesso, sono solo nere silhouette stagliate contro il fondale, in un movimento formato soltanto di ritmo e ombra. Talvolta anche i tecnici entrano in gioco, per creare un ulteriore livello di artificiosità in una rappresentazione fredda, distaccata, a volte quasi disanimata». Il resto dell’articolo è qui. Lo consigliammo a quei tempi, lo riconsigliamo anche oggi in video.
Saldato il conto con Omero, ecco qualcosa più legato ai giorni nostri: Utoya, testo di Edoardo Erba, regia di Serena Sinigaglia, protagonisti Arianna Scommegna e Mattia Fabris. Scelta peculiare, per uno spettacolo che al debutto non ci conquistò del tutto, benché lo sguardazzo di Francesco Tomei sia indubbiamente positivo. Nondimeno, si tratta di un lavoro contemporaneo a proposito di una vicenda contemporanea, la strage operata dal neonazista Anders Behring Breivik il 22 luglio 2011, tra la città di Oslo e l’isola, appunto, di Utoya: 77 morti, in gran parte attivisti del Arbeidernes Ungdomsfylking, lega giovanile del partito laburista norvegese. Il rapporto tra questo caso e il teatro non si limita, comunque, al suddetto allestimento: durante il processo che lo ha visto condannare alla pena massima per il sistema giudiziario norvegese (21 anni, prorogabili in caso di pericolosità del detenuto), Breivik ebbe infatti modo di far conoscere il testo 2083: A European Declaration of Independence, da cui l’artista elvetico Milo Rau ha poi tratto la performance Breivik’s Statement, in lingua tedesca, protagonista l’attrice Sascha Ö. Soydan. In Italia, lo spettacolo è stato proposto nel 2015 al Festival di Santarcargenlo, in inglese, ma sul sito ufficiale della manifestazione non se ne trovano tracce. Su YouTube, invece, scoviamo solo versioni germaniche. L’argomento, comunque, ci pare più che interessante e, purtroppo, non demodé.
LIRICA – Quando il video è protagonista
Sul fronte lirico segnaliamo il melodramma giocoso in due atti La pietra di paragone di Gioachino Rossini su libretto di Luigi Romanelli (il compositore aveva da poco compiuto venti anni quando debuttò alla Scala di Milano nel 1812). La versione che vi proponiamo è quella allestita al Théâtre du Châtelet di Parigi nel 2007 con regia, scene e video di Giorgio Barberio Corsetti e Pierrick Sorin, costumi di Christian Taraborrelli e luci di Gianluca Cappelletti. Vinse il Premio Abbiati 2007 per “regia, scenografia e video” con la seguente motivazione: «aver fatto rivivere magìe ed effetti illusori del teatro antico, affidati a tecnologie contemporanee: lo sdoppiamento della scena, i dettagli dei protagonisti nei video in primo piano, la tinta americana dei colori squillanti, ma freddi come i quadri di Hopper, nei costumi chic alla Jackie Kennedy, esaltavano l’umorismo geometrico della scrittura rossiniana, conferendole chiave attuale ed esattezza cristallina».
Infatti è una versione tutta da godere nei propri schermi. Anche grazie alla riuscita regia televisiva di Philippe Béziat capace di rendere in maniera efficace per lo schermo domestico le sorprese e i giochi realizzati dalla macchina-video-scenica allestita dalla coppia Corsetti-Sorin.
«Gli oggetti, i luoghi, gli ambienti, sono virtuali, tutto si svolge nel vuoto, nella scena blu che è pura virtualità. Il pubblico godrà di una visione multipla. Assiste al montaggio di una realtà virtuale, ma ne ha sotto gli occhi il processo che la definisce. Sono i modellini a creare spazi ed oggetti, i personaggi si muovono nel nulla delle loro aspirazioni e sentimenti. L’interazione fra i vari cantanti sulla scena, la ritroviamo poi nella pura virtualità dello schermo. Ecco che attraverso l’artificio video i personaggi si muovono nel loro nulla colorato di blu.» (Giorgio Barberio Corsetti).
La trama è presto detta. Siamo nella villa del conte Asdrubale, restìo al matrimonio per misoginia, ma anche per paura di amare e subire un’eventuale delusione. Durante i ricevimenti si intreccaino, in un tourbillon di scene esilaranti e di dialoghi serrati ed attualissimi, le trame amorose delle pretendenti alla “dote” del conte e dei loro relativi spasimanti. Lieto fine garantito. Come sono garantite le due ore e quaranta minuti di ottima musica, divertimento, belle immagini e divanesco relax.
Mi raccomando state riguardati e non fatevi prendere dal panico (che comunque non è una scusa per usare il Comic Sans).